Da dove viene e dove andrà Annalisa Izzo, stagista alla redazione di Repubblica, con in tasca il perfezionamento alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Pochi giorni dopo l’uscita del suo primo pezzo in cronaca nazionale, Izzo racconta uno spaccato di vita da giornalista, dalla riunione del mattino agli attimi di tensone in redazione durante il rapimento dell’inviato in Afganistan, Daniele Mastrogiacomo.

di Serena Wiedenstritt

Stagista a Repubblica, quotidiano fondato da Scalfari 31 anni fa, Annalisa Izzo, che l’altra settimana ha firmato il suo primo articolo nelle pagine della cronaca nazionale, torna una giornata alla Normale per seguire il convegno internazionale su Mimesis di Auerbach e si racconta.

Innanzitutto il suo curriculum.

«Vengo da Napoli, ho fatto l’università a Pisa, Lettere Moderne, e un lungo soggiorno, iniziato con una borsa di studio Erasmus, a Parigi. Durante i tre anni che ho passato in Francia ho lavorato nell’editoria: mi occupavo di promuovere all’estero, e spesso in Italia, le pubblicazioni di saggistica e sociologia delle grandi case editrici francesi. Al mio ritorno in Italia mi sono laureata, con una tesi sul romanzo italiano nell’Ottocento, ed ho continuato a studiare. Ho fatto il corso di perfezionamento alla Normale, durante il quale ho potuto beneficiare di una borsa di studio per Harvard. Sono capitata negli Stati Uniti nel pieno periodo pre-elettorale e ho fatto volontariato per la campagna del partito Democratico di John Kerry, avversario di Bush. Ho visto così le realtà più drammatiche delle periferie dell’East-Coast, il degrado dei quartieri fatti di roulottes. Di nuovo in Italia, ho completato la mia tesi di perfezionamento sul concetto di “fine romanzesca” nel Verismo e nel Naturalismo europeo, presentata in co-tutela con l’Università di Paris III, Sorbonne Nouvelle, e a dicembre 2006 l’ho discussa qui alla Scuola. Da gennaio sono a Repubblica, per uno stage che inizialmente avrebbe dovuto durare tre mesi, ma che sarà prolungato fino a un anno».

Abbiamo parlato di editoria, ma la passione per il giornalismo da dove viene?

«Risale a prima dell’università, quando a Roma collaboravo con il settimanale Avvenimenti». Come si è trovata nella redazione di uno dei giornali più autorevoli del Paese, è meglio o peggio di quello che si aspettava?

«Difficile dire se è meglio o peggio. Sicuramente sto imparando moltissimo. In redazione ho vissuto da subito momenti davvero interessanti, come quelli della riunione del mattino, quando si è dentro l’attualità del Paese, dentro il significato anche politico di ciò che avviene. Mi sembra di poter dire, però, che per la maggior parte dei giornalisti il mestiere è diventato molto sedentario, più legato a Internet – un grande serbatoio globale di informazioni – e meno “avventuroso” di quanto si potrebbe credere, in questo senso diverso da quello che mi aspettavo. Fatta eccezione, ovviamente, per quegli inviati che riescono ancora a fare del loro lavoro un’occasione per vedere e raccontare il mondo “dal vivo”. Come ricorda la cronaca recentissima, col rapimento proprio dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo».

Come si svolge la riunione del mattino?

«Ogni mattina, dalle 11 alle 13 circa, il direttore, i vicedirettori e un rappresentante per ogni redazione, oltre allo staff dell’ufficio centrale, si riuniscono per decidere “che giornale fare”. Ciascuno ha già letto la “mazzetta”, il plico con tutti i maggiori quotidiani, italiani ed esteri, che arriva a ogni redazione: chi partecipa alla riunione deve “conoscerla da cima a fondo”. Generalmente la riunione è articolata in tre fasi: all’inizio il direttore commenta il giornale in edicola, anche comparativamente, rispetto agli altri quotidiani italiani, il Corriere, ma anche La Stampa di Torino e poi, in generale, le testate estere. Ma dipende anche dalla notizia: quando si parla di Papa Ratzinger o delle reazioni della Chiesa ai Dico bisogna necessariamente sapere cosa dice l’Avvenire; in una giornata come quella delle rivelazioni da parte de Il Giornale sulle foto di Sircana, non si può ignorare il modo in cui Belpietro ha dato l’informazione. Insomma è tutta la stampa italiana a fare da sfondo. Nella seconda fase della riunione ogni redazione porta le proprie notizie: si potrebbe definire la fase organizzativa, si valuta “cosa bolle in pentola” – agenzie alla mano – e si inizia a fare delle scelte. Anche se poi le decisioni verranno aggiornate e modificate, col susseguirsi degli eventi e le pagine, specialmente quelle della cronaca, saranno definitive solo un attimo prima di andare in stampa. Spesso si considera l’opportunità di ritornare sulle notizie del giorno precedente o di approfondire spunti trovati in rete. La terza ed ultima parte della riunione è più tecnica: il direttore e lo staff dell’ufficio centrale si concentrano sul “timone” e iniziano a definire posizioni e spazi per i vari argomenti appena selezionati. Dal mio punto di vista quello che è interessantissimo di queste riunioni è il dibattito su ciò che è notizia e ciò che non lo è, ciò che sfocia nel gossip e ciò che invece rientra nel diritto di cronaca. Insomma una riflessione sull’etica di un giornale così importante e influente.»

Quanto è delicata la posizione di uno stagista a Repubblica, dopo tutto il parlare che si è fatto sulla presenza degli stagisti in redazione questa estate?

«Sicuramente c’è molta “prudenza” intorno all’uso che si può fare del lavoro dello stagista. Le rivendicazioni sindacali che hanno riguardato tutta la grande stampa italiana negli ultimi mesi sottolineano molto il fatto che spesso i giornali, approfittando del lavoro “a costo zero” offerto dal tirocinante, non sono motivati a sanare le troppe situazioni di precariato dei professionisti. Perciò, talvolta, si può avere la sensazione che ci sia diffidenza nei nostri confronti, dimenticando che il tirocinante è lì per imparare e non dovrebbe costituire un’alternativa al professionista. Ma molto dipende dalla redazione in cui si lavora, oltre che, evidentemente, dalle singole persone: in cronaca, ad esempio, dove sono approdata all’inizio e dove continuo a fare parte dello stage, è più difficile riuscire ad avere spazio di scrittura, perché le notizie sono tantissime e la selezione degli argomenti interessanti è rigorosa. A repubblica.it, dove sono arrivata da poco per sperimentare anche questo settore (dopo un periodo nella bellissima redazione del Domenicale), tutto è molto dinamico (le notizie restano on-line anche poche ore) e c’è la possibilità di dare spazio a più cose».

Nel giornalismo quanto c’è da sgomitare?

«Più che sgomitare c’è da fare i conti con un pessimismo generalizzato sulle opportunità reali per un giovane di fare decentemente questo mestiere nel futuro immediato. Il precariato spesso non consente, nemmeno in questo settore, di far emergere le competenze e le qualità. Di bello c’è che è un mondo in cui devi avere la curiosità pronta e vivace. Ciò che si acquista nel tempo è la sensibilità per quello che può interessare al lettore, l’equilibrio e il gusto nel selezionare gli argomenti. Quello che impari da subito è che bisogna proporre molte notizie prima di trovarne una davvero interessante per il lettore. E bisogna abituarsi a sentirsi dire dei no, a vedere bocciate parecchie iniziative prima di poter approfondire un argomento e scriverne. Non è una banalità dire che ci vuole enorme determinazione.»

Repubblica ha vissuto un momento difficile, con il rapimento dell’inviato in Afganistan, Daniele Mastrogiacomo. Che aria si respirava in quei momenti in redazione?

«Come è naturale c’era molta tensione, soprattutto ai vertici del quotidiano che hanno avuto anche un ruolo “diplomatico”, e poi molta prudenza nel muovere la macchina del giornale. Nel grande autocontrollo che ha caratterizzato tutti, comunque, conserverò un ricordo significativo: davanti allo schermo che trasmetteva il primo video di Daniele ostaggio tutti hanno applaudito il loro collega, l’hanno incoraggiato e incitato a resistere».

I primi progetti per il futuro che le vengono in mente?

«Mi piacerebbe avere l’occasione di lavorare in una redazione locale, provare davvero a fare la cronista. Ma in una città meno grande di Roma, Torino o Bologna».

E nella cronaca verso quale settore si orienterebbe: bianca, nera, giudiziaria?

«Sono una persona curiosa e quello che mi piace di questo lavoro è proprio la possibilità di affrontare tanti argomenti, avvicinarsi a realtà diverse. Forse in una piccola redazione di provincia si fa ancora questo mestiere in modo artigianale, sul campo, e mi piacerebbe cominciare da lì, dalla cronaca locale: tutti dicono che per diventare giornalisti la gavetta si fa nelle redazioni di cronaca, no?»