La rivista americana Proceeding of the National Academy of Science pubblica i risultati della ricerca condotta dal gruppo di lavoro guidato dal prof. Lamberto Maffei.

di Andrea Pantani

Curare la perdita o la forte diminuzione della vista in un occhio o in entrambi si può. Il gruppo di neurobiologia della Scuola Normale di Pisa, guidato dal professor Lamberto Maffei, ha dimostrato che ratti resi ambliopi in giovane età per occlusione di un occhio e che sviluppano, come è il caso anche dell’uomo, una patologia visiva irreversibile, possono riacquistare una normale visione nell’occhio ambliope dopo trattamento con una particolare sostanza, la Condroitinasi ABC.

“La Condoitinasi ABC – spiega il prof. Lamberto Maffei -, inibisce la matrice cellulare, formata da un insieme di complesse catene molecolari che stanno tra i neuroni. Sono allo studio possibili applicazioni sull’uomo. L’ambliopia, che significa perdita o forte diminuizione della vista in un occhio o in entrambi è, nell’uomo, una patologia molto comune ed è conseguenza di difetti della rifrazione non corretti in giovane età, opacizzazioni della cornea, strabismo, cataratta congenita”.

Gli esperimenti che hanno dimostrato gli effetti positivi della Condroitinasi ABC ai quali ha lavorato il gruppo della Scuola Normale (ne fanno parte, oltre a Maffei, Tommaso Pizzorusso, Paolo Medini, Silvia Landi, Sara Baldini, Nicoletta Berardi) sono stati pubblicati su una importante rivista americana, Proceeding of the National Academy of Science. Ma il progetto di ricerca ha già riscosso successo nel campo della plasticità del sistema nervoso del mammifero adulto. In una prima serie di ricerche, pubblicate sulla rivista “Science” nel 2002, è stato dimostrato che la corteccia visiva del ratto adulto può riprendere la plasticità propria dell’animale subito dopo la nascita. Questi risultati sono importanti per possibili applicazioni per arrestare l’invecchiamento o ringiovanire il funzionamento del cervello umano dell’anziano.

“Bisogna ricordare – spiega ancora il prof. Maffei – che nella corteccia visiva dei mammiferi a visione binoculare vi sono neuroni che rispondono ai due occhi (neuroni binoculari). Se, in giovane età, l’animale, compreso l’uomo, non ha una vista ugualmente sviluppata nei due occhi ma uno di essi , per una anomalia grave come una cataratta congenita, una opacizzazione della cornea oppure relativamente banale come un difetto di rifrazione solo in un occhio, i neuroni visivi finiscono progressivamente per rispondere solo all’occhio che funziona meglio. La conseguenza è che il soggetto perde progressivamente la vista nell’occhio più debole. Se però il soggetto è ancora in giovane età, si può intervenire prima eliminando la causa patologica e poi con un allenamento dell’occhio più debole, allenamento che viene effettuato occludendo l’occhio sano per breve tempo. In questa maniera , i neuroni binoculari riacquistano la loro normale funzione e l’occhio riacquista la sua visione normale. Questo trattamento che si basa sulla plasticità del sistema nervoso è solo possibile nei primi anni di vita, poi diventa difficile e nell’adulto completamente inefficace. L’occhio a questo punto ha perso in maniera non reversibile la sua funzione fisiologica”.

L’esperimento del gruppo coordinato da Lamberto Maffei è stato svolto secondo una procedura . Sono stati presi ratti appena nati e ad essi è stato occluso un occhio per pochi giorni. L’occhio dell’animale ha perso le proprie capacità visive rapidamente e i neuroni hanno rispondosto solo dall’altro occhio. “Se nel periodo di alta plasticità del piccolo – prosegue Maffei -, l’occhio viene riaperto e si occlude l’altro per pochi giorni la visione ritorna normale. Se si ripete l’esperimento nell’animale adulto il risultato è negativo. Questo stesso esperimento nell’animale adulto, ripetuto dopo trattamento della corteccia visiva con Condroitinasi ABC, dà risultati positivi e la visione di questi animali ritorna normale”.

Questi esperimenti, pur nelle difficoltà che esistono di applicare i risultati ottenuti sugli animali all’uomo, sembrano promettenti sia per la cura dell’ambliopia, che è patologia molto comune nell’uomo, sia per “ringiovanire” le funzioni del cervello adulto, che, progressivamente con l’età, perde la sua plasticità.