Datata intorno al 400 a.C., trafugata nel 1988 da un contadino-tombarolo e poi rivenduta al mercato nero delle opere d’arte, il 10 Marzo 2008 è tornata al centro di un seminario organizzato dal “Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico” della Scuola Normale di Pisa, da titolo “Demetra a Morgantina”.

di Giulio Sparacino

Una statua conosciuta sotto diversi nomi: “Venere di Morgantina”, “Dea Getty”, “Dea di Malibù”. L’uso delle due ultime denominazioni (legate al luogo dove da 20 anni si trova esposta: il Getty Museum di Malibù, Los Angeles, California) è destinato a cessare: la statua infatti è una della quaranta opere – forse la più importante e la più contesa – che torneranno dagli USA in Italia entro il 2010, grazie all’accordo siglato dal Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli e da diversi enti regionali per la tutela del patrimonio artistico. Ma anche l’appellativo di “Venere”, probabilmente, ha ormai terminato il suo compito. L’ipotesi che questa splendida opera della scultura classica raffiguri in realtà una delle due divinità tesmoforiche, avanzata per la prima volta da Antonio Giuliano, è stata infatti ulteriormente confortata dagli scavi terminati nel 2004.

Condotti da un team di archeologi (tra cui la dott.sa Caterina Greco, che teneva la conferenza a Pisa) per conto della Soprintendenza di Enna e con i finanziamenti europei del POR, gli scavi hanno infatti riportato alla luce un antico santuario nei pressi della città di Morgantina, la cui fisionomia non lascia dubbi circa l’attribuzione al culto delle due divinità della raccolta e della crescita. Ancora di più, quindi, si consolida l’idea di una presenza forte e diffusa di questo culto nella Sicilia “granaria” centro-orientale. Ma soprattutto, grazie alle ricerche e all’analisi dei resti rinvenuti nel santuario, si può adesso affermare con maggiore certezza che Morgantina, e con essa i suoi santuari, vissero prosperando con continuità almeno fino al III secolo a. C.

Così si uniscono le ricerche ultimamente condotte nel sito ennese e i problemi collegati alla restituzione e al ritorno della statua della dea. Si prova infatti che alla fine del V sec. a.C. , periodo cui si fa risalire la creazione della statua, Morgantina, contrariamente a quanto avevano affermato alcuni studiosi americani, era un centro vivo. Abbastanza vivo da meritare un’opera di quelle dimensioni e di quella fattura. A fugare ogni dubbio, poi, sono arrivati i risultati delle analisi petrografiche, che hanno stabilito la provenienza del tufo di cui la dea è costituita: gli altipiani al confine tra le attuali province di Siracusa e Ragusa.

La statua è siciliana, dunque, ed è stata fabbricata in una zona dove fortissimo era sempre stato il culto delle divinità tesmoforie. Il Paul Getty Museum, di fronte a tante prove, si è arreso: la statua, seppur con tristezza, lascerà la villa di Malibù e tornerà nel suo luogo d’origine. Già, ma rimane ancora un problema. Finora abbiamo parlato di divinità tesmoforie: ma Demetra, la dea delle messi, o Kore/Persefone, sua figlia, rapita da Ade signore degli inferi?

La tradizione iconografica, piuttosto incerta e difficile da ricostruire, non sembra permettere fino ad ora un’attribuzione certa. A scanso della sua giovinezza, visibile nelle forme del corpo e nel peplo aderente che la dea indossa, la dott.sa Greco ha proposto nel corso della conferenza l’attribuzione della statua alla madre Demetra, rappresentata “in tumultuoso movimento” quando con una fiaccola in mano (ora perduta) si lancia alla ricerca della figlia (per la drammaticità di questa scena il riferimento è l’omerico Inno a Demetra vv. 42 sgg.). Si attende invece, per il momento, l’ “edizione critica” di Clemente Marconi, che certo prenderà posizione su questo punto, dopo approfonditi studi sulla statua e sui resti mancanti (dita delle mani ed altri pezzi utili alla ricostruzione dell’immagine orginaria), tuttora conservati negli archivi del museo californiano.