Franco Battiato fa cinema, da qualche anno. E lo fa alla sua maniera, puntando tutto sulla soddisfazione di se stesso, del suo senso estetico, affidando al linguaggio cinema la ricerca di nuove possibilità espressive. Ai Venerdì del Direttore l’artista siciliano ribadisce la sua volontà di andare oltre la ricerca del consenso di massa.


Il video streaming della conferenza (WMV)


L’intervista di Battiato al TG3 (WMV)

di Serena Wiedenstritt

Nonostante fin dal suo arrivo venga accerchiato da nugoli di fan a caccia di foto ed autografi, Franco Battiato alla Normale non perde occasione per prendere le distanze dal pubblico, o almeno dalla maggioranza del pubblico. Davanti a un centinaio di persone in sala e un paio di centinaia di fedelissimi davanti agli schermi in videoconferenza nelle altre aule, il musicista, ospite alla Scuola in veste di regista, ribadisce le sue intenzioni di fare film difficili, anche a costo di non soddisfare il pubblico.

Battiato apre ricordando una battuta del regista portoghese ultranovantenne Manoel De Oliveira che, intervistato a Cannes sul fatto che i suoi detrattori lo accusavano di muovere poco la telecamera, rispose candidamente: «A me la telecamera piace fissa». Continua affermando che al cinema, come nella lingua, ognuno ha la sua grammatica e la sua sintassi. Quanto alla crisi del cinema, la situazione per Battiato è determinata dal successo del cinema commerciale:«Oggi Monicelli non arriva a 2 mln di euro di incassi, mentre i film commerciali, come i vari Natale a…, considerano 7 mln di euro come un fallimento. Per fare le proporzioni, 7 mln di euro sono il massimo incasso di Moretti di tutti i tempi».

Battiato non ha paura di dire chiaro e tondo che lui dei gusti del pubblico e del botteghino se ne frega, che lui fa cinema per far passare un messaggio e perché la pellicola sia comunicazione. La critica al cinema commerciale passa dai vari Natale a… alle americanate, alla ridondanza delle serie tv ospedaliere prodotte in Usa e alla banalità delle storie d’amore con scene di sesso viste e riviste, mentre Battiato dice di sentirsi libero, libero di lavorare come crede. Libero, ad esempio, di non delineare la storia dei suoi personaggi, partendo dalla premessa che a lui non interessano i nomi, né i retroscena.

Poi il via agli spezzoni che l’autore porta in sala, prima da Musikanten, poi dal terzo film in uscita. Battiato come una voce fuori campo accompagna le immagini della sua seconda pellicola, dedicata a Beethoven, e spiega i dietro le quinte delle riprese – «in questo momento si gira a mano», « questa scena ci stava costando cara, abbiamo rischiato di sfondare il piano del Settecento », «ho tenuto fede a tutto, persino le parole di Beethoven-Jodorowsky sono quelle tratte dai suoi epistolari, solo nel momento della morte non ho rispettato la crudezza della sua malattia e l’ho lasciato spirare fra lenzuola bianche».

Dopo la proiezione di una parte del montaggio provvisorio del prossimo film, girato in una settimana – «perché l’emozione del primo ciak non è ripetibile» -e a cui sono seguiti due mesi di post-produzione e due ancora ne mancano, arrivano le domande. Una dopo l’altra, spesso accompagnate da complimenti ed apprezzamenti, spaziano sull’intera produzione dell’artista catanese: dalla musica del futuro al ritmo del suo cinema, dai suoi libri preferiti alla differenza fra film commerciale tout court e cinema d’evasione. Sulla sperimentazione formale Battiato racconta quando un giorno durante le riprese dell’ultimo film ha fatto scambiare gli abiti agli attori con effetti stravolgenti sull’identità dei personaggi e conclude che «l’abito fa il monaco» .

All’ultimo momento si sfiora il colpo di scena: Battiato propone di mostrare in anteprima alla Normale il video de Il Vuoto, il singolo dal prossimo disco, ma il dvd non si trova e salta la sorpresa.