Ricostruzione grafica di Oumuamua

Si chiama “Oumuamua” il primo asteroide proveniente da altri sistemi solari che la scienza è riuscita ad osservare.

Del gruppo internazionale di astronomi che ha individuato e studiato l’asteroide fa parte Marco Micheli, ex allievo del corso di fisica della Scuola Normale, astrofisico dell’ESA NEO Coordination Centre di Frascati, il centro dell’Agenzia Spaziale Europea specializzato nello studio dei Near-Earth Objects, ovvero gli “oggetti” che passano a distanza ravvicinata dalla Terra. Il lavoro che dà conto della sensazionale scoperta e di cui Micheli è cofirmatario è pubblicato su Nature .

Lo scorso 19 ottobre 2017 il telescopio Pan-STARRS, situato alle Hawaii, aveva infatti identificato un nuovo asteroide e tale avvistamento era stato reso noto agli astronomi di tutto il mondo. Micheli, utilizzando il telescopio Optical Ground Station-OGS situato alle Canarie, ha compiuto ulteriori osservazioni e raccolto nuovi dati su “Oumuamua” (“messaggero”, in hawaiano), dati che lo hanno portato a individuare una orbita molto diversa da quella dei circa 700.000 asteroidi e comete finora conosciuti, tutti generati nel nostro sistema solare. Un’orbita iperbolica, testimonianza che Oumuamua proveniva da “fuori” il nostro sistema solare.

L’asteroide ha una forma estremamente allungata (è lungo dai 400 agli 800 metri e ha un raggio medi di 80 metri), ha un colore rossiccio (sembra rivestito da carbonio), e ha raggiunto una distanza minima dalla Terra pari a 60 volte quella che ci separa dalla Luna, mentre si sta allontanando a 26 km al secondo, quasi 100 mila km l’ora, una velocità che gli permetterà di sfuggire dalle orbite dei pianeti del nostro sistema solare.

Marco Micheli, classe 1983, è stato allievo del corso ordinario della Scuola Normale dal 2002 al 2007 e ha poi proseguito i propri studi con un dottorato di ricerca in astronomia all’università delle Hawaii, proprio il luogo in cui è stato avvistato Oumuamua e in cui studiano molti dei ricercatori che hanno contribuito al lavoro su Nature.

Pisa, 14 febbraio 2018