La nostra società sta invecchiando. Attualmente una persona su 9 ha più di 60 anni, ma si calcola che nel 2050 tale rapporto sarà di una su 5. Il progredire dell’età sembra associato ad un aumento del rischio di tumori, come di malattie cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative, che tendono sempre di più a diventare croniche e quindi a condizionare pesantemente la nostra società in termini di qualità della vita, ma anche di costi a carico del sistema sanitario. La scienza sempre più si interroga sul modo in cui i normali cambiamenti associati al progredire dell’età creano un ambiente che rende più probabile l’insorgenza di queste patologie.

Per affrontare questa questione il consorzio JenAge, una rete di diverse università e centri di ricerca finanziato con 5 milioni di Euro dal governo tedesco e del quale è partner la Scuola Normale Superiore, ha intrapreso il più grande studio genomico dell’invecchiamento in termini di diversità di campioni analizzati sinora pubblicato, utilizzando una tecnica di sequenziamento di nuova generazione che permette di quantificare il livello di attività di tutti i geni del genoma. Nello studio sono stati analizzati campioni di cervello, pelle e fegato ottenuti da topi, pesci zebra e dal pesce annuale Nothobranchius furzeri, il vertebrato dalla vita più breve che è stato scoperto e studiato presso la Scuola Normale Superiore dal gruppo del prof. Alessandro Cellerino. In aggiunta sono stati analizzati anche campioni di sangue e pelle di soggetti umani per un totale di 500 campioni diversi. Lo studio è stato pubblicato ieri sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

L’uso di un numero così elevato di campioni ha consentito di identificare un gruppo di geni originariamente associati a processi infiammatori la cui attività cambia nello stesso modo in tutti i tessuti e in tutte le specie. Secondo Alessandro Cellerino, professore associato di Fisiologia presso la Scuola Normale e coautore dell’articolo “L’esistenza di un gruppo di geni comune a tutti i tessuti e le specie animali studiate, ed associato all’invecchiamento, è particolarmente sorprendente se si considera che le linee evolutive che hanno portato ai pesci ed all’uomo si sono separate oltre 400 milioni di anni fa e che l’aspettativa di vita delle specie che abbiamo analizzato varia da pochi mesi per il pesce Nothobranchius furzeri ad oltre un secolo per l’uomo. Questo indica chiaramente come studi in modelli animali semplici sono rilevanti per comprendere l’invecchiamento dell’uomo”.

Il secondo aspetto sorprendente è che una proporzione significativa dei geni che vengono attivati in maniera conservata durante l’invecchiamento è “funzionante” anche nel corso delle tipiche malattie degenerative associate all’invecchiamento (cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative), e gli stessi geni coincidono parzialmente anche con geni che, se attivati, proteggono dai tumori. Questo risultato sorprendente è confermato anche da una analisi complementare che ha dimostrato come –a livello statistico- varianti geniche che predispongono a malattie neurodegenerative riducono il rischio di tumori e viceversa.

Era noto da tempo come l’incidenza dei tumori aumenti con l’età ma si riduca nelle persone che hanno superato gli ottanta anni. Questo studio mostra come la ridotta incidenza di tumori sia spiegabile con i cambiamenti fisiologici legati all’invecchiamento, ma anche come il prezzo che si paga per questo “effetto protettivo” è un ulteriore aumento nell’incidenza delle malattie neurodegenerative dopo gli ottanta anni.

 Pisa, 31 gennaio 2018