A un passo dal teletrasporto. Anzi no. Meglio ridimensionarsi, parlare di computer quantistici e tornare con i piedi per terra. Piedi che lei, Maria Luisa Chiofalo, classe ’68, ricercatrice in Fisica della Materia Condensata alla Normale, ha ben piantati per terra. Studio al terzo piano del Palazzo della Carovana, alle spalle una bella foto dei lungarni di Pisa e i primi disegni di Anna, sua figlia, Maria Luisa racconta la sua vita da ricercatrice e spiega future e futuribili applicazioni delle sue scoperte.

di Serena Wiedenstritt

Senza dimenticarsi un accenno al suo impegno nella società civile, dalla parte delle donne. Chiofalo trascorre circa due mesi l’anno nel Colorado, al JILA, un importante istituto di ricerca e istruzione superiore nel campo della fisica. Negli altri dieci mesi lavora a contatto con alcuni docenti della Scuola, come il professor La Rocca di fisica dello stato solido, e con colleghi «sparsi in Italia, in Europa e negli Stati Uniti» con cui comunica via videoconferenza e si incontra nel corso delle frequenti trasferte che la impegnano nei laboratori più all’avanguardia nel suo campo. Campo che comprende le parole chiave riportate nel suo curriculum sul sito della Scuola: superconduttività ad alta temperatura critica; fluidi quantistici; condensazione di Bose-Einstein e superfluidità in vapori atomici ultrafreddi confinati; metodi numerici nella teoria dei liquidi quantistici; test del principio di equivalenza a Terra e nello spazio.

Termini apparentemente incomprensibili, improvvisamente più chiari quando, da dietro la sua scrivania del terzo piano del palazzo della Carovana, Chiofalo inizia a spiegare il suo ambito di ricerca, il metodo di lavoro e soprattutto quali sono le future applicazioni della sua ricerca, senza dimenticarsi di inquadrare i risultati raggiunti nel contesto delle scoperte che sulla materia si sono succedute dagli anni Cinquanta ad oggi, decennio per decennio, Nobel dopo Nobel.

Di quali sistemi si occupa nel campo della fisica della materia condensata?

«Le mie attuali ricerche riguardano lo studio di vapori di atomi raffreddati a temperature di qualche miliardesimo di grado Kelvin cioè prossime allo zero assoluto, condizione in cui emerge in modo drammatico il comportamento quantistico della materia. Nello specifico, questi vapori di atomi ultrafreddi realizzano un nuovo stato di materia, predetto da Bose ed Einstein all’inizio del 900, nel quale si possono osservare da qualche migliaio a un milione di atomi che si comportano tutti insieme coerentemente come una unico grosso atomone. La condensazione di Bose-Einstein – cosi’ e’ chiamato il fenomeno – fu realizzata al JILA da Eric Cornell e Carl Wieman e poi all’MIT da Wolfgang Ketterle per la prima volta nel 1995 utilizzando atomi che si comportano come bosoni, cioè particelle quantistiche che amano stare insieme appassionatamente nello stesso stato. Oggi, diversi laboratori in tutto il mondo a partire da quello di Debbie Jin al JILA, ma anche al MIT, alla École Normale Supérieure di Parigi, al LENS di Firenze, a Innsbruck hanno verificato quanto insieme al collega Murray Holland del JILA abbiamo predetto nel 2001, cioè che questo stato coerente può essere ottenuto anche con atomi fermionici, in analogia con quanto accade nei superconduttori. Si tratta di un risultato non banale se si pensa che due fermioni non possono vivere nello stesso stato quantistico per il principio di esclusione di Pauli».

Quali sono le applicazioni più interessanti e immediate delle sue ricerche?

«I vapori di atomi ultrafreddi si distinguono per caratteristiche che li rendono particolarmente interessanti per le applicazioni, come la possibilità di manipolare le loro interazioni con accuratezza e di confinarli in fili o piani. I miei studi possono per esempio aprire la strada alla cosiddetta atomtronica. In analogia con l’elettronica o la fotonica, l’atomtronica comprende la progettazione di dispositivi per il trasferimento delle informazioni e per il calcolo. Il vantaggio e’ che con gli atomi si può accedere a dimensioni nanometriche (miliardesimi di metro), lìdove per esempio con la luce si e’ limitati a dimensioni dieci o cento volte maggiori. Un esempio può essere il laser ad atomi, analogo di quello a fotoni che troviamo nei dispositivi di uso quotidiano. Altri risultati a cui possono approdare le mie ricerche sono la progettazione e la realizzazione di dispositivi per la misurazione di variazioni locali della forza di gravità, quindi per i sistemi di posizionamento, come il GPS.»

Sul lungo termine, a cosa potrebbero portare i suoi studi?

«Mettendo da parte le prospettive che ancora sanno un po’ troppo di fantascienza, come il teletrasporto, le future applicazioni riguardano, ad esempio, la progettazione di computer quantistici. Per computer quantistico si intende un dispositivo capace di far viaggiare molte più informazioni rispetto al computer di attuale concezione e di elaborare algoritmi complessi in tempi decisamente più brevi. Accanto ai computer quantistici, gli atomi ultrafreddi possono essere utilizzati per effettuare con grande precisione misure di fisica fondamentale, ad esempio si stanno sviluppando idee interessanti per effettuare su scala microscopica un test della violazione del principio di equivalenza fra massa inerziale e massa gravitazionale, sul quale si fonda la teoria della relatività generale di Einstein».

Alla Normale gli studenti sono da subito impegnati in attività di didattica e ricerca. Una volta diventati ricercatori a pieno titolo, che fine fa la didattica?

«Nella mia vita da ricercatrice c’è anche spazio per la didattica. È anzi un’attività che mi piace e mi interessa. Anni fa ho fatto parte di un progetto sperimentale ideato da Giovanni Prodi al Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa e durato qualche anno, in cui sono stata docente di un corso di laurea particolare frequentato da studenti che avevano deciso di provare la didattica one to one, come dire l’università formato liceo a livello del rapporto studente-docente. Oltre ad altre esperienze didattiche all’Università e più di recente alla Scuola Normale ho avuto di nuovo occasione di stare dietro la cattedra durante i corsi di orientamento della Scuola, che a Cortona mi hanno vista impegnata con i giovani talenti del penultimo anno delle superiori su temi come: Moto perpetuo: la superconduttività; Possono le mele ritornare sugli alberi? (una lezione sulla irreversibilità; Il colore del cielo (ovvero un buon motivo per non guardare un tramonto con un fisico); Presto volando: Un breve viaggio nel mondo degli strumenti musicali, incentrato sul binomio fisica e musica, anzi fisica e sax, pubblicato anche sulla rivista “Sapere”».

Il lavoro in laboratorio lascia tempo anche ad altre attività?

«Sarebbe grave se la mia vita non continuasse con impegni e stimoli sempre nuovi anche al di fuori dei laboratori. La ricerca richiede una dedizione continua e costante e forti motivazioni, ma l’obiettivo non può essere soltanto quello di saper fare tecnicamente molto bene una cosa, un mucchio di calcoli per esempio, ma piuttosto di sapere integrare in modo armonico tante competenze differenti. Solo così l’Università può assolvere appieno al proprio compito, di formare persone capaci di produrre conoscenza e consapevoli della responsabilità sociale che questo comporta. A volte è faticoso gestire i tempi, ma questo non mi impedisce di essere impegnata come cittadina attiva dentro associazioni e istituzioni, e con grande soddisfazione. Ho colto occasioni di fare elaborazione politica e pubblicare articoli su temi di attualità, inclusa la questione giovani, università e ricerca. Da anni sono impegnata come presidente del Consiglio Cittadino per le Pari Opportunità, organo consultivo e propositivo del Comune di Pisa, coordinando iniziative di sensibilizzazione e diffusione di cultura di genere, anche attraverso l’assegnazione del Premio Pisa Donna. E comunque secondo il principio del gender mainstreaming, stabilito dall’ONU e fatto proprio dall’Europa, cioè mettendo l’ottica di genere al centro di tutte le politiche, da quelle di bilancio a quelle della mobilità passando per quelle più tradizionali della promozione della salute e delle politiche sociali, come il sostegno al reinserimento di detenuti e detenute, della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e del contrasto alla violenza intrafamiliare».