“ ‘Io come filosofo era stato dubbio’ La retorica dei Dialoghi tassiani”, tesi di perfezionamento in Discipline filologiche e linguistiche moderne, riceve il prezioso riconoscimento nel corso della giornata Sapegno 2006, svoltasi ad Aosta il 6 maggio. NormaleNews pubblica uno stralcio del lavoro e un bilancio di Rossi sui suoi anni di ricerca. di Massimiliano Rossi

Questo lavoro, scritto nell’arco di quattro anni, dal 2001 al 2005, è partito in assenza di impostazioni predefinite e si è progressivamente costruito nella prospettiva dal basso del “corpo a corpo” testuale (sulla cui illusoria neutralità valgono naturalmente tutti le riserve espresse dalla neoermeneutica). Il suo nucleo centrale, formato dai capitoli 2, 3, 4, è infatti costituito da letture di dialoghi, un taglio monografico adottato perché in grado di offrire problemi circoscritti e puntuali da risolvere ma anche di garantire una qualche sensazione di esaustività; l’ordine di successione dei capitoli è quello, meramente cronologico, del loro tempo di scrittura. I testi (Rangone, Malpiglio II, Minturno), non sono stati scelti né secondo una volontà antologica che ambisse a una qualche rappresentatività esemplare (come ad esempio l’edizione Mursia dei Dialoghi di Bruno Basile), né secondo la logica di una loro correlazione organica; la preferenza è stata accordata, in base a poco formalizzate considerazioni, ad opere che avessero una certa intonazione di natura platonica e sulle quali non esistesse quasi affatto bibliografia. A giustificare una scelta che sembra sconfinare nell’arbitrarietà valga la considerazione che, nell’attraversare il grande continente dei Dialoghi, una qualche organicità dell’approccio può essere soltanto un punto d’arrivo, non un punto di partenza; il frutto faticoso del lavoro, un suo risultato e non un suo presupposto. Il corpus dialogico non costituisce infatti un’ordinata enciclopedia del sapere, ma un coacervo di atomi irrelati e di qualche gruppo molecolare, della cui distribuzione spaziale non abbiamo ancora una completa cartografia. Il capitolo 5, diverso dai precedenti, perché di taglio erudito e filologico, nasce come studio propedeutico a un progetto di lettura dei Dialoghi napoletani del Tasso (Nifo, Porzio, Minturno, Manso) che sto portando avanti presso l’Istituto Croce. È un quadro d’assieme delle figure della cultura napoletana legate, oltre che ai dialoghi, ai soggiorni dell’ultimo Tasso nella città partenopea. Trova una coerente ospitalità in questa sede sia perché esemplifica una certa propensione metodologica, di cui tento una legittimazione anche “teorica”, a leggere i dialoghi in stretta correlazione con la storia, sia perché propone una diversa datazione di due testi (Porzio, Minturno) carica di più generali conseguenze sulla percezione dell’esperienza dialogica come dell’identità tutta dell’ultimo Tasso. Nel capitolo 1 affronto invece problemi di ordine generale relativi all’interpretazione della dialogistica tassiana e cerco di offrire, precisandone le condizioni di validità, una visione di sintesi. Il testo è cronologicamente successivo agli altri ma è cresciuto al loro margine come tentativo di portare a chiarezza implicazioni teoriche e metodologiche, suggestioni e tagli di lettura, che avevano guidato in maniera non sempre consapevole l’indagine monografica. Nella presa d’atto della rilevanza di temi e problemi lì appena abbozzati appare dunque più “avanzato” rispetto alle letture dei testi, che non configurano così un’illustrazione didascalica e pedissequa delle linee ermeneutiche e teoriche tracciate. Una “sincronizzazione” millimetrica di teoria e pratica avrebbe d’altronde significato rimodulare daccapo le monografie: rifatte adesso quelle letture, i pesi verrebbero probabilmente redistribuiti, gli accenti dinamici e logici messi diversamente, i baricentri ermeneutici in parte spostati. In ogni caso la proposta teorica di fondo dei Dialoghi come testi oscillanti tra la natura retorica di opere tarate sui contesti di ricezione e quella letteraria di congegni artificiosi mirati alla “sorpresa” barocca, è sicuramente presente come filigrana riconoscibile in tutte le letture.

I cinque capitoli, che occupano le caselle di generi critici diversi, dalla visione di sintesi, all’affondo monografico, allo studio storico-filologico, pur tenendosi saldamente stretti al polo interpretativo rispetto a quella dicotomia che Benjamin individua tra commento e interpretazione, si muovono senza preclusioni anche su tutto l’arco del circuito letterario, scivolando a seconda delle esigenze dalla biografia autoriale, al testo, al contesto storico-sociale; e non è certo un relativismo eclettico ad alimentare tali sconfinamenti ma la convinzione che ciò che è complesso debba essere affrontato solo con strumenti complessi e che quindi gli oggetti letterari vadano accerchiati da più punti di vista possibili. La letteratura, si sa, non è solo un fatto di letteratura: una di quelle verità talmente ovvie che non andrebbe mai messa in discussione; è noto però che quando le verità ovvie si mettono in mano a studiosi in carriera, diventano subito confuse, insicure, inutilmente problematiche….

Bilanci, polemiche, ringraziamenti

A conclusione di un percorso tassiano quasi decennale, che mi accompagna ormai dai primi anni di università, rimangono tante cose; tra le altre, la consolazione che fine di una ricerca non è forse quello di trovare risposte appaganti e definitive, ma di formulare problemi sempre più interessanti, di trovare domande sempre più pertinenti; ma rimane anche la constatazione, spiacevole, che la fine di un percorso di studio è sempre inevitabilmente decisa da fattori estrinseci, da una sospensione più o meno arbitraria e involontaria, e mai soltanto, come dovrebbe essere in un paese culturalmente avanzato, da una logica di crescita su sé stessa, dal proprio ritmo interno di maturazione. Le ragioni sono: precarietà e insicurezza economica, scadenze di concorsi, di borse di studio, bisogno di pubblicazioni, insomma tutto il generale contesto del lavoro intellettuale giovanile, il moderno inferno del pensiero a tempo determinato. Una discussione radicale su cosa vuol dire studiare oggi per le nuove generazioni bisognerà un giorno aprirla; e bisognerà forse un giorno cominciare a parlare di un nuovo “diritto allo studio”, non per i 18enni diplomati ma per i 30enni con dottorato, un diritto per tutti alla formazione d’eccellenza e non solo per chi ha la famiglia che compra i libri appena usciti, finanzia i viaggi di studio all’estero, tappa le falle e voragini che si aprono tra una borsa di studio e l’altra (quando le borse ci sono). Certo, è curioso. Quest’Italia è un paese clownesco praticamente in ogni sua manifestazione tranne che in una, nella serietà con cui nega la serenità degli studi e cerca di staccare il respiratore alle sue menti più giovani, nell’accanimento con cui incoraggia la fuga dei cervelli, non la fuga delle pance; un paese moribondo e aggressivo che si trascina masticando l’aria, lo spazio, il futuro dei figli, e quindi anche il futuro della propria memoria; la cui politica culturale e di ricerca, presto detta, è quella di chi ti mette a piedi nudi sui carboni ardenti e dice: “Adesso stai fermo e gioca a scacchi. E, mi raccomando, vinci”.

Proprio per questa non troppo velata barbarie culturale, un lavoro simile (uno studio sui Dialoghi del Tasso nell’Italia contemporanea!), non sarebbe stato possibile senza il sostegno, l’impegno, la fiducia di alcune persone e istituzioni. Desidero perciò ringraziare innanzitutto la prof.ssa Lina Bolzoni, che ha seguito i miei studi dai primi anni di università fino al perfezionamento alla Scuola Normale di Pisa: nel delicato periodo della formazione, dove si decide chi sono i maestri da seguire, il suo modello di curiosità e passione intellettuale ha sempre rappresentato per me un punto di riferimento. Ringrazio anche il prof. Sergio Zatti, che in anni più lontani di quanto sia difficile ammettere, mi ha incoraggiato sulla strada degli studi tassiani; ringrazio poi la prof.ssa Emma Giammattei, il prof. Gennaro Sasso, e l’Istituto Italiano di Studi Storici “Benedetto Croce”, che mi ha dato l’opportunità di proseguire gli studi in un ambiente di alto profilo culturale ed etico, in cui è viva ancora tutta la generosità civile del suo fondatore. Un ringraziamento va poi alla mia famiglia, quello più grande di tutti a mia moglie Chiara.