Pisa, 27 aprile 2018. Oggi il Corriere Innovazione, inserto del Corriere della Sera, si occupa con un ampio articolo della Scuola Normale Superiore, attraverso una intervista al Direttore, Vincenzo Barone. Qui accanto e di seguito l’articolo (CORRIERE INNOVAZIONE).

di RAFFAELLA POLATO

Per una volta converrà partire dall’alto. Vincenzo Barone è un chimico teorico-computazionale con un curriculum talmente fitto di pubblicazioni, medaglie, cattedre, membership – tanto per dirne due: l’International Academy of Quantum Molecular Science e la European Academy of Science – che a farne l’elenco non basterebbe questa pagina. Eppure a suo tempo «il concorso, qui, io non l’avevo superato». Oggi, della Scuola Superiore Normale di Pisa è il Rettore (nel loro lessico, semplicemente «direttore»). Se adesso ricorda l’onta, totalmente relativa, dello studente da lode non ammesso a studiare nella più antica (e ambita) di tutte le Scuole d’Eccellenza italiane non è per scoraggiare gli aspiranti «normalisti».

Al contrario. Certo: è chiaro che «normale» significa in realtà «eccezionale», in queste stanze. Ne sono usciti due premi Nobel per la Fisica (Enrico Fermi e Carlo Rubbia), uno per la Letteratura (Giosue Carducci), due presidenti della Repubblica (Giovanni Gronchi e Carlo Azeglio Ciampi). Continua a uscirne, come dagli altri Istituti d’Eccellenza, il meglio della classe dirigente: e se noi qui in Italia non la vediamo il problema è nostro, perché evidentemente non facciamo caso a chi viene invece notato all’estero e riceve cattedre di storia a oxford e di matematica a Princeton (esatto: la stessa di John Nash, A beutiful mind), o l’incarico di curare il Getty Museum a Los Angeles, o l’offerta d’ingresso nella squadra degli ingegneri sistemisti di Google (così, subito, al primo impiego). Questo però è un altro discorso. Lo faremo.

Per il momento, torniamo al messaggio del direttore. È una promessa che non proprio tutti i suoi colleghi delle Università con laurea a valore legale (il diploma e persino il Phd delle Scuole d’Eccellenza non ce l’hanno) potrebbero in coscienza permettersi di fare: «Con gli esami di ammissione noi cerchiamo le potenzialità, non il passato di uno studente».

Non è poco. Non è facile. Come dice Barone – che sul suo cognome si sarà sentito fare mille giochi di parole, ma è così: mettete il prof accanto al classico barone universitario e le differenze saranno lampanti – per dar modo al vero talento di uscire, prendere forma, essere individuato «ci vorrebbe un anno preparatorio». InFrancialo prevedono, e la Francia è in fondo il Paese d’origine della Normale: il busto di Napoleone che a un certo punto compare tra le scalinate interne del vasariano Palazzo della Carovana, sta lì per quello, è l’omaggio all’«invasore» che però, qui in Italia, provò anche a importare il modello parigino dell’École Normale Supérieur. All’inizio doveva solo formare i futuri insegnanti dell’Impero, poi una nuove élite intellettuale europea.

Ha funzionato, in effetti, anche a Pisa. In due secoli e passa (il decreto napoleonico che istituì la Sns è del 181o), di classe dirigente qui ne è stata formata in abbondanza, né in duecento anni è cambiato il criterio unico di selezione: «Merito e talento».

Dopodiché, un po’ forse per questo un po’ forse perché per quasi tutti i famosi due secoli la Normale è rimasta l’unica Scuola di Eccellenza italiana, l’impressione è che fama e monopolio abbiano consentito il deposito di qualche granello di polvere di troppo. Barone dà l’idea dell’uomo che lo può spazzar via. Insieme a Michele Di Francesco e Pierdomenico Perata, i rettori dello luss di Pavia e della vicina Sant’Anna (è a un passo, dietro l’angolo di piazza dei Cavalieri, e non saremmo a Pisa se tra i due istituti gli sfottò non fossero continui), ha appena creato una «federazione d’eccellenza» che avrà più forza con il Ministero e, soprattutto, unirà il meglio di ciascuna per gli studenti di tutte e tre. Lui è forse un filo meno diplomatico dei colleghi, quando c’è da ricordare quello che non va. Tipo: «Lo Stato ha ridotto i fondi a tutte le Università in modo indifferenziato. Ma questo, così, è uno Stato che non sceglie, che nei fatti non crede nella ricerca e che abusa della parola “eccellenza”. Si stabiliscono a priori dei parametri e poi non si verificano i risultati. Noi, e con noi intendo le poche scuole come la nostra, siamo mal visti dagli altri atenei perché considerati dei privilegiati. Bene. Io, prima, dirigevo il Cnr qui a Pisa: in Normale guadagno di meno. Gli altri spendono in stipendi il 95% del budget, noi solo il 50%: la rimanente metà va a finanziare la ricerca. Significherà pur qualcosa».

Significa. Cioè: dovrebbe. Ma la traduzione pratica di quello cui allude Barone è evidente ovunque, in queste sale. Anche in quelle che della teoria, intesa come ricerca pura, sono il regno. t chiaro: nessuno studente di materie scientifiche entra qui senza sognare di rivoluzionare la fisica come fece Fermi, odi uscire dai supercorsi di matematica come il Nash italiano (magari al netto della schizofrenia del genio). Poi ti accompagnano in un posto come iDreams Lab, una delle scommesse del direttore, e vedi che l’astrattissima Chimica Teorica Computazionale – dettaglio: i modelli cui lavorano qui sono utilizzati in mezzo mondo da ricercatori anche industriali – è affiancata da un laboratorio di realtà virtuale. Pare un sofisticatissimo gioco fantascientifico, una supertappa del lungo processo di ricerca verso una tecnologia superiore. t già molto di più. «Questa» realtà virtuale permette a chirurghi e neuroscienziati, per esempio, di «muoversi» dentro il vero cervello di un vero paziente. Le immaginate, le potenzialità?

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