L’economia è a rischio di declino, ma porta sempre con sé grandi possibilità.


Il settore bancario riveste un ruolo di grande importanza per l’economia e la società: è un intermediario di denaro e di fiducia, di risparmio (affidato alle banche, che lo investono o lo trasformano in credito): le banche sono decisive perché trasformano ciò che è fermo in qualcosa di mobile, facendo del denaro un’energia che crea investimenti.

* Trascriviamo la conferenza che Corrado Passera ha tenuto alla Scuola Normale venerdì 8 giugno, nell’ultimo appuntamento dell’anno accademico con I venerdì del direttore. A cura di David Ragazzoni

Le banche, dunque, sono presenti in moltissime fasi quotidiane della vita della gente: hanno la funzione di intermediare fiducia, perché ricevono fiducia dalla gente che affida loro i risparmi, ma danno anche fiducia, perché prestano soldi alle aziende che investono: costituiscono un tassello importante del sistema di fiducia della e nella gente.

Ecco perché, quando una banca porta in sé problemi, questo crea ripercussioni pesanti sulla vita dell’intero paese. Penso al vulnus alla fiducia che alcuni fallimenti industriali ma anche atti criminosi avevano portato ai risparmiatori (Parmalat, Cirio): si capisce quindi l’importanza del ruolo che possono avere le banche.

Venti, trent’anni fa le banche erano un sistema fermo, immobile: erano un settore che non aveva ambizioni: ora è un settore tra i più competitivi e potenziali: un mercato fatto di mercati molto collegati tra loro.

La banca che serve il pubblico – “banca al dettaglio” – ha caratteristiche sue proprie diverse da quelle che fanno credito alle industrie, o da quelle dell’assistenza finanziaria alle multinazionali: amministrare in tutto il mondo fondi investimento è diverso dal corporate banking e dal private banking: sono settori tutti molto diversi, che confluiscono in ciò che chiamiamo “banca”. Ogni banca deve decidere “che mestiere fare”.

È un settore molto in movimento: 22 mila operazioni di fusione nell’ultimo anno: in poco meno di dieci anni, è il settore dove ci sono stati più attivismi e mobilità e combinazione.

Ma cosa sono le fusioni bancarie? Ogni volta che da due ne risulta una: una banca incorpora/compra l’altra, una è forte l’altra meno, una è più strutturata l’altra meno: nel caso di Intesa San Paolo, erano tutte e due ambiziose, forti, avviate, ma entrambe hanno anche deciso di accelerare: “insieme è meglio” è il motto dell’impresa, perché insieme hanno potuto fare ciò che non si sarebbe riuscito a fare agendo da sole, insieme raggiungono le dimensioni per iniziative che da sole non avrebbero potuto fare: fusione è tutto ciò che comporta la trasformazione di più organizzazioni in un’unica.

La loro azienda deriva dalla combinazione insieme di trenta banche: San Paolo e Intesa hanno messo sotto un’unica identità una pluralità di organizzazioni nel corso degli ultimi venti anni: l’Ambrosiana mezza fallita, è stata recuperata dal Pres. Bazoli e assunta come punto di partenza per la costruzione di una delle banche più forti d’Europa.

Come nascono le fusioni bancarie? Per fenomeni soprattutto di mercato. Ancora dieci, quindici anni fa, l’Italia era fatta di molte piccole banche, molto legate al territorio, ma in molti micromercati c’era un’unica piccola banca: di fatto delle aziende, ma molto legate al mondo pubblico: entità più legate, in quella fase, allo sviluppo della zona in cui stavano più che ad operazioni di lungo termine per gli azionisti. Erano tutte pubbliche, tutte dello Stato, ed era un settore molto controllato. Sono state un contributo fortissimo alla ricostruzione del Paese.

Poi i mercati sono divenuti sempre più legati, in certi settori (corporate banking, investment banking, operazioni di fusione e acquisizione per le industrie) si è cominciato ad operare a livello europeo e a globalizzarsi; contemporaneamente, tecnologie informatiche permettevano di collegare a distanza organizzazioni diverse: nuove esigenze di servizio sono state accompagnate da una formidabile visione: l’Italia, a differenza del resto dei grandi paesi europei, ha avuto la visione di privatizzare la banche.

E si è messa in moto una corsa, quasi, ad articolare le piccole banche in sistemi più articolati e complessi.

La privatizzazione non poteva avvenire senza liberalizzazione: si è messo in moto il meccanismo della concorrenza. Nel sistema bancario italiano degli ultimi cinque-dieci anni, si deve parlare degli effetti benefici di una concorrenza ben pensata, con alla base una privatizzazione graduale e saggia della politica pubblica: ha creato a valanga un effetto di crescita formidabile: ristrutturazione, investimenti, creazione di un’economia di scala.

È stato fondamentale creare “economie di scopo”: avere, cioè, una dimensione per poter fare qualcosa che altrimenti non è possibile: se è necessario fare grandi investimenti per avere economie di scopo, uno dei modi principali per farlo è fare le fusioni bancarie. Fenomeno delle fusioni nasce da un’esigenza che si chiama concorrenza, che in termini di qualità, varietà, quantità dei prodotti e discesa dei prezzi ha prodotto molto (il margine sui finanziamenti alle imprese si è ridotto di un terzo negli ultimi anni: tutto il lavoro fatto ha portato a un fortissimo recupero dei costi e un abbassamento della soglia dei costi strutturali).

Questo processo continuerà, anche se a livelli domestici in molti paesi europei ha raggiunto quasi il completamento: anche in Italia, come in Inghilterra, Francia e Spagna. La Germania è invece lontanissima da questi risultati, le banche pubbliche locali sono quasi la maggioranza, con quote di mercato del 5, 6, 7%: il processo di consolidamento non è ancora avvenuto.

Si inizia a vedere un inizio di consolidamento a livello di Unione Europa: Unicredito con HVB in Germania, per esempio, nel campo del retail banking, del mercato al dettaglio: ancora all’inizio perché non si è ancora raggiunto un sistema omogeneo, con regole uniformi: è ancora molta la parte così diversa che impedisce buoni e consolidati risultati.

Tra i paesi dell’Europa occidentale e la “nuova Europa” (Europa meridionale e orientale)? Ci sono state operazioni transnazionali feconde di prossimi risultati: a questi paesi noi abbiamo guardato per cogliere le possibilità di crescita nell’ambito di progetti di de-localizzazione.

Ci sono poi anche molti altri casi di investimenti internazionali nell’Asia, America Latina (simile all’Est Europa con eccezioni di imprese locali in Brasile estremamente forti): processo che si è messo in moto e continuerà.

Ma non verso un’unica direzione. I fenomeni in economia non possono essere estrapolati come un’unica derivata: molte banche che si sono fuse torneranno a separarsi, perché alcune pensano di far funzionare meglio gli attivi: questo gioco del monopolio che ha alle spalle una fortissima valenza economico-industriale, proseguirà nei prossimi anni.

Alcune banche – come l’HSBC – diventeranno globali, ma non vi saranno solo banche generaliste: vedremo anche banche che si specializzeranno (pubblic finance, asset management) in determinati settori.

Esiste dunque una gamma ampia di modalità per avere successo, ma una cosa è certa: le piccole banche, se non per mercati marginali, non potranno più esistere: solo o banche specializzate o banche globali.

Ma quale il bilancio di tutto questo? Alcune fusioni hanno creato disastri; la maggioranza delle fusioni determina risultati non all’altezza di quelli sperati, perché si crea un livello di complessità e burocratizzazione ancora più complessa: si deve creare sinergia ed economia per semplificare, non per complicare.

Altre fusioni invece sono state realizzate male: ci deve essere una guida molto forte: se non si ha un’idea di dove si vuole procedere insieme, invece di sommare virtù si esprimono difetti crescenti: è un tema di scelta di modelli organizzativi e informativi: centrale è la capacità di dare alle organizzazioni che si mettono insieme un obiettivo comune, più bello e attraente di quello che si perseguiva da soli: realizzare una nuova situazione organizzativa aziendale che può essere migliore per i clienti, per chi ci sta dentro e per gli azionisti della nuova azienda.

La direzione comune si trova per una delle due banche in un posto più “lontano” – geograficamente e culturalmente: se non ci sono subito i meccanismi per accelerare il processo di inserimento, si hanno problemi: la conoscenza – questa la parola chiave – dei settori economici dove la banca ha sempre operato, per nome dei clienti, dei pro e contro di una certa società/un certo mercato, è decisiva: quando si mettono insieme due banche, tale conoscenza si diluisce: e al momento della fusione, si deve avere ben chiaro che parte di una delle due clientele dovrà saper cambiare e sapersi riadattare. Ogni banca ha una sua ricetta per seguire tale adattamento.

La concorrenza è uno strumento formidabile in settori, come quello bancario, aperto alla concorrenza: e i risultati non mancheranno, come si è visto: siamo il paese dell’Europa continentale dove la concorrenza è più forte: abbiamo quattro grandi banche internazionali con quattro grande filiali di agenzie: non c’è parallelo in Europa per una struttura tanto competitiva, con benefici di ampia portata senza dispersioni di valore.

Il settore bancario è una metafora positiva di ciò che sta succedendo in Italia? Probabilmente no: non abbiamo la previsione di declinare, ma siamo un paese che ha il rischio declino dietro l’angolo: non sta investendo abbastanza, dal sistema giudiziario alle infrastrutture all’istruzione al sistema di coesione sociale: è, quest’ultimo, l’indice del successo di un paese (dinamismo, mobilità sociale, l’energia che ha dentro, la capacità di selezionare attraverso il merito e di portare avanti chi dimostra di saper crescere): spesso in Italia non è il merito a far scattare la crescita, ma l’anzianità, l’appartenenza…

Le banche possono sicuramente avere un ruolo costruttivo: è un sistema di meritocrazia e di fiducia: noi ci sentiamo co-responsabili della crescita del nostro paese: è un lavoro altamente responsabilizzante e importante, basta sbagliare l’1% dei crediti per perdere tantissimo: è un settore che si sta sviluppando molto, ma dove si sta anche generando e articolando grandissima competenza. Il paese ha interesse ad avere intelligenze, impiego per le persone migliori che escono dalle università.

Siamo un ponte tra le aziende e le università: se le aziende si appoggiano a centri d’eccellenza universitari, hanno in mano gli strumenti per innovarsi, internazionalizzarsi, crescere: in questo scambio, le banche possono avere ruolo importante: non sono soltanto prestatori di denaro, ma anche investitori. Questo processo noi lo abbiamo iniziato, e siamo intenzionati a proseguirlo.