Un milione di titoli tra testi manoscritti, stampati, incunaboli, cinquecentine nella banca dati del progetto RICI, che coinvolge le Università di Firenze, Milano, Macerata, RomaTre e la Normale di Pisa.

di Maria Pia Paoli

C’erano una volta i libri, quelli a firma d’autore, quelli anonimi, quelli da stampare, quelli mai stampati. Ma non finisce qui: c’erano anche libri rilegati in cartapecora, in ottavo, in quarto, in folio, miniati, incisi, xilografati, quelli a spese di, per i tipi di, all’insegna di, a cura di, riveduti da, ….Un mondo intero, un universo materiale ruotava intorno a quinterni di carte vergate di inchiostro, quello secco dei caratteri inventati da Gutenberg o quello fluido del calamo. Altrettanto vasto era l’universo dei pensieri che sulle carte parevano dover lasciare un segno indelebile, fruibile, trasmissibile nel tempo e nello spazio. Dietro carta, inchiostro e pensieri, si celavano o palesavano la mano e la mente degli uomini, quelli che sullo scorcio del secolo XVI attorno a questo universo crearono un intrigo epocale, un unicum nella storia della cultura del mondo occidentale.

La storia è quella dell’azione censoria capillare e sistematica (nulla a che vedere, per questo aspetto, con i più timidi e maldestri sistemi censori attuati dai governi laici dello stesso periodo) che la Chiesa cattolica, la Curia romana, attraverso le congregazioni dell’Indice e del S. Offizio, intese esercitare sulla produzione e stampa dei testi che potessero contenere passi poco ortodossi per la fede, licenziosi per la morale o speculativamente troppo arditi per l’intelletto.

Gli storici francesi prima e quelli italiani un po’ dopo, hanno mostrato, ormai da qualche anno, un crescente interesse per questa storia che ruota intorno all’oggetto libro (fatto di testo e paratesto) in relazione alla politica e alla dottrina della fede, alla sua ricaduta sull’evoluzione culturale e morale dell’Europa occidentale e soprattutto dei paesi cattolici. Tra le fiamme appiccate sulle piazze delle città o nei chiostri dei conventi molti libri presero fuoco, è vero; altre fiamme simboliche, quelle intime accese dagli scrupoli della coscienza, soffocarono nella cenere grigia del timore o dello smacco le migliori velleità di libero pensiero. Ma, come dicevano i vecchi saggi, “da ogni male può nascere un bene”. E nel nostro caso il “bene” è rappresentato dall’esito di quella grande inchiesta (censoria, appunto, ed era questo il …suo “male”) che tra il 1598 e il 1603, al tempo del papa Clemente VIII Aldobrandini, produsse migliaia e migliaia di carte, rectoverso, recanti gli elenchi di libri stampati o manoscritti, incunaboli e cinquecentine posseduti dalle biblioteche degli ordini religiosi in Italia. Non di tutti gli ordini, però: ne restarono fuori, per via del ruolo occupato all’interno della complessa navicella di Pietro, i gesuiti e i domenicani, gli uni come nuovi paladini della chiesa e del Papa all’indomani della crisi della Riforma protestante, gli altri come protagonisti e specialisti ormai secolari di inchieste e inquisizioni.

Ma, tornando al “bene” di quella inchiesta Clementina che può stimolare ancora le schiere indomite di ricercatori curiosi, vale la pena mettere in luce un impegnativo progetto scientifico che va avanti dal 2001 coinvolgendo le Università di RomaTre, Firenze, Milano, Macerata, e la stessa Scuola Normale di Pisa. Il progetto (RICI, questa la sua sigla) coordinato da docenti e ricercatori sia di storia che di bibliografia e biblioteconomia, si avvale di molti collaboratori interni ed esterni alle università menzionate ed ha per scopo quello di restituire alla conoscenza degli studiosi una grande fetta del patrimonio librario italiano così come appariva nelle liste che i frati compilarono (con qualche errore, con qualche lacuna, ma non poi così tante) e inviarono a Roma tra Cinque e Seicento.

A questo lavoro di trascrizione ed immissione delle liste in una banca dati corredata di puntuali identificazioni dei singoli testi (grazie ad altre banche dati disponibili in rete, Edit XVI per le cinquecentine e ISTC per gli incunaboli), seguirà la pubblicazione a cura della Biblioteca Apostolica Vaticana di specifici volumi riguardanti le biblioteche dei diversi ordini religiosi, dai benedettini, ai francescani, ai carmelitani, ai canonici regolari ecc. Alla fine del lavoro avremo disponibile online e in supporto cartaceo almeno un milione di records, corrispondenti ad un milione di titoli (un dato di enorme rilievo per gli standards dell’antico regime, emblematico della fiorente circolazione e produzione libraria italiana di allora) ricavati dai suddetti elenchi, ivi comprese le ristampe e le riedizioni, le innumerevoli varianti e assemblature che il libro antico, incunabolo o cinquecentina che fosse, comportava. Senza contare, poi, che vi sono comprese le temute “espurgazioni”, o “rassettature”, tutti eufemismi per significare che la censura interveniva sui libri, e dunque, indirettamente sugli autori, non intaccandone la fama, se l’avevano acquisita prima della censura (basti pensare a Boccaccio e al suo Decamerone), ma certo minacciando e scoraggiando quegli autori che ancora intendessero scrivere di esegesi biblica o di mistica, di vite di santi e di preghiere in volgare, di esperienze fisiche o curiosità naturalistiche scivolanti nell’alchemico. E che dire delle miriadi di rime d’amore che tanto appassionavano poeti e poetesse nostrali nella perenne emulazione del grande Petrarca, ma “scoraggiate” perché spesso colpevoli di contenere parole allusive al fato e alle stelle? Non si sono però scoraggiati gli storici odierni.

Nei giorni 30 maggio-1 giugno 2006 a Macerata si è svolto un convegno internazionale di studi ( riciconvegno.htm) che ha fatto il punto sui risultati finora prodotti dal progetto RICI e che vedranno la luce con una imminente pubblicazione nelle collane della Biblioteca Apostolica Vaticana. Gli organizzatori, tra cui Rosa Marisa Borraccini (Università di Macerata) e Roberto Rusconi (Università di Roma Tre) sono, insieme a chi scrive, ancora alle prese con questa gigantesca macchina di lavoro (certosino nel senso letterale, addirittura evocativo, direi, del termine) affidato allo spirito di abnegazione e alla professionalità di decine di collaboratori, borsisti, assegnisti, dottori di ricerca, insegnanti. Dati statistici e qualitativi interessanti emergono già dagli elementi acquisiti, mostrandoci ulteriori possibilità di indagine sulla storia degli ordini religiosi, delle loro costituzioni antiche e recenti, delle rispettive e varie sedi, del tipo di cultura, dei legami familiari e sociali, nonché sulla storia stessa dell’editoria e tipografia nei secoli XV e XVI, dei testi proibiti e non, che ancora circolavano, della proporzione tra autori laici ed ecclesiastici, tra letteratura sacra e profana, tra latino e volgare, tra edito e inedito.

Significativo, ad esempio, constatare come le importanti fiere del libro, che si tenevano in alcune città dei paesi d’oltralpe (Lione, Anversa ecc.),e che in misura minore o affatto furono soggette al controllo dell’Indice romano, riuscissero a mantenere nel tempo, nonostante la censura, rapporti intensi col mercato librario della nostra penisola. Di lì a due secoli, invece, la diffusione del libro avrebbe conosciuto un nuovo tipo di flusso, quello provocato dalle soppressioni dei conventi, attuate prima in Toscana ad opera del governo lorenese e poi in tutti gli antichi stati italiani ad opera di quello napoleonico e più tardi del governo italiano dopo l’Unità. Questa fase, come noto, produsse lo smembramento delle biblioteche conventuali e molti libri oltre che rifluire a vantaggio del pubblico in pubbliche biblioteche (sempre più frequenti a partire dalla seconda metà del Settecento a Firenze, a Roma, a Milano ecc.), presero varie vie di fuga già iniziate in anni precedenti. Ed ecco, allora, che il “bene” rappresentato dall’Inchiesta romana sarà quello di restituirci una fotografia in bianco e nero, quasi un dagherrotipo, di una certa situazione ad una data epoca, ma non senza la possibilità di ricostruirla in maniera dinamica, collazionando alla fine le liste trascritte con l’ attuale posseduto delle biblioteche pubbliche italiane. Se, infatti autori, libri e stampatori conobbero momenti difficili, le tracce lasciate dai lettori, dai possessori dei libri, singoli frati o interi conventi, laici eruditi, medici, notai, uomini e, in pochi casi donne, (mogli, madri, monache), patrizi, nobili feudatari o ricchi mercanti che fossero, restano indelebili, perfino quando sono nascoste dai nervosi segni di scrupolose cancellature autocensorie.

Note manoscritte o personali ex libris stampigliati sui frontespizi o sui fogli di guardia dei codici hanno marcato nei secoli la territorialità della dimensione materiale, intellettuale ed emotiva sottesa alla lettura; anche in seguito le benemerite smanie classificatorie dei bibliofili settecenteschi epigoni dei custodi dei plutei e delle scansie claustrali hanno lasciate tracce che pochi segreti, possiamo forse a questo punto ammetterlo, riservano alla storia dei libri, di chi li scrisse, di chi li lesse. E senza dimenticare che anche i censori presero e… lasciarono note! Un cerchio si chiude e uno se ne apre, dunque: quello del quesito che ogni storico odierno, senza preconcetti, vorrà porsi intorno alla tenuta discreta e originale o al ritardo manifesto (di lungo periodo?) della cultura e della società italiana nel campo speculativo sia religioso che filosofico e scientifico, proprio a partire dal quel milione di titoli che con diligenza maggiore del previsto furono vergati, fitti e minuscoli, sulle carte oggi conservate nei codici della Biblioteca Apostolica Vaticana.