Il ferro si accumula nel cervello durante l’invecchiamento e nel morbo di Alzheimer. Un gruppo di ricercatori delle Scuola Normale Superiore a Pisa e del Leibniz Institute on Aging di Jena ha scoperto che un piccolo RNA detto miR-29 inibisce la formazione di questi depositi, fornendo una possibile strada per la terapia delle malattie neuro degenerative legate all’invecchiamento.

I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati il 13 febbraio nella prestigiosa rivista BMC Biology.

Durante l’invecchiamento si osserva un accumulo di ferro nel cervello che è esacerbato nel caso di malattie neuro degenerative come il morbo di Alzheimer. Un lavoro in collaborazione tra la Scuola Normale Superiore (SNS) di Pisa ed il Leibniz Institute on Aging (FLI) di Jena ha ora mostrato che l’organismo tenta di contrastare questo accumulo di ferro tramite un micro RNA detto miR-29. Questa molecola era nota per le sue attività anti-tumorali.

Ora si scopre che la sua concentrazione nel cervello aumenta in funzione dell’età e controlla anche la concentrazione di ferro all’interno dei neuroni. Il team guidato da Alessandro Cellerino, professore di Fisiologia alla Normale, ha utilizzato il pesciolino africano Nothobranchius furzeri – un vertebrato con una vita di pochi mesi – per testare dunque cosa accadeva nel cervello quando l’attività di miR-29 era bloccata: i neuroni accumulavano quantità eccessive di ferro e si osservava un invecchiamento prematuro. Quindi, il cervello produce miR-29 per difendersi da un accumulo di ferro.

“Crediamo che questi risultati abbiamo una rilevanza anche per l’uomo” afferma Alessandro Cellerino,  che è anche guest scientist presso il Frits Lipmann Institute (FLI) del Leibniz Institute on Aging  -. Infatti, era noto da tempo come la concentrazione di miR-29 nel cervello diminuisca nelle malattie neurodegenerative e dopo ictus. Ma il collegamento tra miR-29 e ferro è del tutto nuovo. “Lo sviluppo iniziale di farmaci basati sul miR-29 per il trattamento di alcuni tumori è già in corso, queste molecole potrebbero trovare utilizzo anche per il trattamento di malattie neuro degenerative e dell’ictus” aggiunge Cellerino.

Il pesciolino africano Nothobranchius furzeri è stato introdotto solo recentemente da Cellerino come modello per lo studio dell’invecchiamento e il suo genoma è stato sequenziato solo nel 2015 in un progetto collaborativo tra FLI, SNS ed altre Istituzioni in Europa. “L’investimento di dieci anni che è stato necessario per decifrare il genoma di questa specie comincia già a dare i suoi frutti” spiega Karl Lenhard Rudolph, il direttore scientifico del FLI. Infatti, il meccanismo genetico che lega miR-29, ferro ed invecchiamento non era noto prima ed è stato scoperto solo grazie a Nothobranchius furzeri.