Quale è l’attualità di una riflessione sulla cultura degli anni 20-30 del secolo scorso, ed in particolare del modo in cui in quel periodo si utilizzano e si percepiscono le immagini e il loro rapporto con il “classico”? Questo è il tema ed il significato del convegno internazionale L’immagine del “classico” negli anni venti e trenta del novecento, tenuto alla Scuola Normale sabato 3 e domenica 4 marzo.

di Chiara Fioravanti

Una riflessione sul ruolo delle immagini negli anni 20 e 30 del ‘900 deve tenere conto di due punti di partenza, opposti l’uno all’altro: da un lato l’utilizzo delle immagini come mezzo di involuzione e di arcaismo politico; dall’altro una maniera critica e problematica di intendere la rinascita dell’ “antico” e del “classico”.

Nel primo caso l’estetica degli artisti e dei teorici legati al totalitarismo ha favorito una retorica del “monumento” che si richiama all’immagine degli eroi e degli dei, e ai miti, e li carica di uno spessore positivo, privo di qualsiasi conflittualità. Si fa riferimento ad una forza primigenia arcaica, in grado di guarire la modernità dai suoi mali.

Si definisce così un concetto di antichità posizionato al di fuori del divenire storico, in cui le forze anarchiche e caotiche delle origini si sono ricomposte in un ordine immutabile, codificato, inalterabile e “millenario”. Il classico diventa l’archetipo di un ordine arcaico immobile, sempre uguale a se stesso e fuori dalla storia.

Questa visone conduce alla nascita di una retorica particolare, che si può ben analizzare nell’architettura ufficiale, nell’arte monumentale, ma anche in campo letterario.

A prima vista questa tendenza sembra contrapporsi al modernismo delle avanguardie, che è un altro elemento presente all’interno della cultura del totalitarismo. Si tratta di un movimento sovversivo, distruttivo dei canoni esistenti, fino al nichilismo, che si viene ad affiancare al desiderio di restaurazione dell’ordine classico.

In realtà è una contraddizione apparente.

L’estetica e la retorica del nazismo si basano infatti sull’idea del recupero delle forze dionisiache e ctonie dell’anima europea, intese come elementi rivitalizzanti, e sulla creazione di un ordine nuovo fondato su un’immagine eroica e monumentale del classico. Futurismo e Arcaismo rappresentano così due declinazioni dello stesso pensiero, e vengono a collocarsi in una vicinanza paradossale.

A questa visione si oppone quella di Warburg e della sua Scuola.

L’immagine del classico acquista significato esclusivamente nel fluire stesso del divenire storico, e non in contrapposizione. Il classico non è più l’Arcaismo inalterabile, bensì la matrice di un divenire continuo di forme sempre diverse, in cui gli aspetti dionisiaci e apollinei sono i poli di una tensione che percorre tutte le immagini autenticamente classiche.

Ogni immagine del passato acquista leggibilità unicamente nel presente che ne attualizza l’uso ed il significato. Essa contiene virtualmente una molteplicità di significati possibili, di cui vengono resi attuali i tratti che meglio si adattano e corrispondono alle problematiche ed alle prospettive del presente, mentre gli altri restano momentaneamente in ombra. Un elemento iconografico acquista un significato puntuale in relazione alle corrispondenze, ai conflitti, alle differenze che ogni volta hanno caratterizzato il suo emergere.

Poiché la concezione di Warburg si contrappone all’idea di “stile classico” come ordine arcaico immobile, rifiuta anche il concetto di una storia delle immagini secondo una sequenza temporale lineare ed irreversibile.Al contrario, le forze che muovono le immagini e le raffigurazioni conservano in ciascuna epoca alcuni tratti permanenti, senza per questo escludere una metamorfosi dei loro significati: un elemento antico e dimenticato può ripresentarsi all’improvviso, mentre un altro può cadere rapidamente nell’oblio. Il moderno e l’antico, l’archetipo e la sua variazione del momento, la ripetizione e la differenza coesistono nella simultaneità dell’immagine, che conserva gli strati della sua storia.

Alla retorica monumentale si oppone qui la visone di una storia delle immagini e delle forme in continua metamorfosi ed apertura; al nichilismo dei futuristi e all’immobilismo dell’arcaismo la capacità di riattualizzare in nuove forme le forze dei simboli.

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