Ha trent’anni ed è stato allievo della Classe di Lettere alla Normale di Pisa. Adesso lavora alla Camera dei deputati, come consigliere parlamentare, in pratica un funzionario con qualifica dirigenziale nell’amministrazione della Camera. In questa intervista Roberto Cerreto racconta il suo percorso, dalla Normale a Montecitorio.

di Andrea Pantani

Quale incarico ricopre a Roma?

Il mio compito è di assicurare il funzionamento della Camera e l’attività dei suoi componenti, fornendo un supporto di servizi e di consulenza, che può essere giuridica e procedurale, ma anche, in senso più lato, di studio e di ricerca. Più avanti nella carriera, il consigliere parlamentare può svolgere compiti di direzione, che possono giungere a rivestire particolare ampiezza e complessità.

In cosa consiste, in pratica, l’attività di un Consigliere?

Quello di consigliere parlamentare non è un unico lavoro, ma è fatto di tante possibili attività, anche molto diverse tra loro. Io, ad esempio, ho lavorato per oltre due anni al Servizio del Personale, occupandomi di relazioni sindacali e di stato giuridico ed economico dei dipendenti della Camera; poi, quasi da un giorno all’altro, sono stato trasferito alle Commissioni parlamentari, ed assegnato alla prima Commissione (Affari costituzionali) e alla dodicesima (Affari sociali): in pratica, posso dire di aver cambiato radicalmente lavoro, e questo succede molte volte nell’arco della carriera.

Quali caratteristiche deve avere un consigliere parlamentare?

Un vivo interesse per la realtà politico-istituzionale del Paese, ma anche versatilità e capacità di apprendimento.

Quando nasce il suo interesse per la vita politica?

Sui banchi del liceo. Quando vinsi il concorso alla Camera, tre anni fa, ero stato eletto da poco in consiglio comunale a Pisa. Anzi, per un anno sono stato anche rappresentante degli allievi della classe di lettere nel consiglio direttivo della Scuola Normale.

Oltre alla passione politica, ha anche parlato di “capacità di apprendimento”…

La capacità di apprendimento, che poi in definitiva è la capacità di mettersi continuamente in discussione, è una qualità di cui sono debitore soprattutto alla Scuola Normale, dove mi sono diplomato in filosofia nel 2000. E’ in Normale che ho imparato il valore della ricerca, dell’applicazione intensa e assidua allo studio. Ed è in Normale che ho sviluppato la curiosità per i campi del saper “altri” rispetto alla filosofia, come le scienza giuridiche, delle quali non mi ero mai seriamente occupato prima di iniziare la preparazione del concorso alla Camera, neanche negli anni del successivo corso di perfezionamento alla Scuola Sant’Anna.

Insomma, gli anni della Normale le hanno insegnato un metodo di lavoro e di studio

Esatto. Sotto la guida del prof. Claudio Cesa, professore emerito di Storia della Filosofia moderna, ho visto all’opera un metodo di ricerca fatto di impegno, rigore e senso del limite. Si tratta di insegnamenti che travalicano i confini di una branca del sapere, e che ti accompagnano sulle strade più diverse, come diverse e anche disparate sono le strade di chi esce dalla Normale, soprattutto dalla classe di lettere.

Si parla spesso di sbocchi professionali “limitati” per chi studia lettere o filosofia. Che consigli si sente di dare ai suoi colleghi più giovani?

Se si sente di avere una passione autentica e solida per la ricerca, è giusto perseverare, senza lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà; ma anche senza pensare che la ricerca e l’insegnamento siano l’unico “sbocco” adeguato a un normalista. Perché il lavoro intellettuale, in Italia e all’estero, io ne sono un esempio, conosce molti altri risvolti ed aspetti. Fortunatamente.”