Sempre più di frequente la misurazione della qualità delle performance delle università viene sintetizzata con la compilazione di classifiche.

Su questo argomento dibattuto pubblichiamo le osservazioni di uno studio della CRUI.

Queste classifiche, grazie ad una estrema operazione di sintesi, ottengono il risultato di guadagnare risonanza sui mezzi di informazione, e non solo: al confronto con il sistema universitario statunitense e anglosassone, si ottiene del sistema universitario italiano un’immagine di grande debolezza, in particolare sul piano della competitività internazionale, ma anche su quello della produttività, con numeri che “devono cambiare”.

Le due classifiche “generaliste” più note sono l’Academic Ranking of World Universities (ARWU) 2006 dell’Università di Shangai e la World University Rankings 2006 pubblicata dal The Times Higher Supplement. Tali classifiche “generaliste” dovrebbero consentire di confrontare le performance ottenute dalle singole università in un contesto di scambio e di confronto globale. Ciò però risulta valido soltanto nella misura in cui gli indicatori utilizzati siano rappresentativi della realtà istituzionale e organizzativa adottata in ciascun Paese.

La prima classifica, che utilizza parametri quantitativi, suscita alcune perplessità circa la capacità di rappresentare adeguatamente qualsiasi contesto accademico, in particolare quello italiano:

– il rapporto tra didattica e ricerca è pesantemente sbilanciato in favore della ricerca; in Italia, però, non si sta affermando un modello di gestione accademica improntato alla distinzione tra teaching universities e research universities, rimanendo ancora stretto il nesso tra didattica e ricerca nella realizzazione della mission delle università.

– i Premi Nobel (che coprono un ventaglio disciplinare molto ridotto) o le Medaglie in Matematica non sono elementi collegati in modo diretto alla qualità della didattica erogata da una università (in Italia, tra l’altro, le discipline umanistiche e sociali coprono quasi il 40% dell’offerta formativa universitaria).

– Gli indici utilizzati per la misurazione della qualità della ricerca sono pesantemente sbilanciati dal punto di vista disciplinare sulle materie di area sanitaria e scientifica, risultando inadeguati per quelle di area sociale ed umanistica

Anche la seconda classifica suscita perplessità circa la sua capacità di sintetizzare adeguatamente le caratteristiche principali di qualsiasi istituzione accademica: in particolare, a proposito dell’utilizzo della peer review (che pesa addirittura per un 50% sul punteggio complessivo) ad opera dei ricercatori e dei reclutatori di laureati (a proposito di quest’ultima esistono anche oggettivi motivi di perplessità circa la rappresentatività del campione utilizzato), in quanto non è ben chiaro in che modo si sia riusciti ad evitare la tendenza implicita a citare le istituzioni più antiche, le più prestigiose, le più visibili, o le più grandi.

Di diverso spessore, anche se di non grande impatto “comunicativo” o pubblicitario, gli studi basati su analisi bibliometriche sofisticate condotti sulle performance della ricerca in scienza e tecnologia svolta nelle università europee e pubblicati, tra il 2003 ed il 2004, come parte degli indicatori scientifici e tecnologici dalla Commissione Europea (Science and Technology Indicators for the European Research Area – STI-ERA).

Gli indicatori sono stati utilizzati non già per costruire una classifica di merito tra le varie istituzioni, bensì allo scopo di evidenziare i punti di forza e di debolezza della ricerca europea sia nel confronto internazionale che interno, con livelli progressivi di approfondimento che arrivano anche alle singole istituzioni, ma senza mai cedere alla tentazione della compilazione di classifiche “facili” e immediate.

Da tale studio è possibile ricavare informazioni quantitative, e probabilmente anche qualitative, su una quantità di fattori rilevanti; le conclusioni sullo “stato del sistema universitario italiano” non sono forse radicalmente più positive, rispetto a quelle indotte dalle altre due classifiche descritte. D’altro canto, però, offrono preziosi strumenti di analisi che consentono un reale approfondimento “critico” del problema, altrimenti impossibile con semplici ranking, oltre che un importante punto di partenza per un’autoanalisi da parte del sistema stesso

da Approfondimenti n° 1 novembre 2006. Pubblicazione periodica del Centro Studi CRUI