Una proposta del Sole 24 Ore, particolarmente sentita ed attuale in questo momento storico, e una riflessione di NormaleNews per un futuro di fiducia nei giovani. Per sollecitare pareri, opinioni, commenti.

di Massimiliano Tarantino

Proponiamo ai nostri lettori, per una riflessione e ogni gradito commento, una proposta sviluppata da Walter Passerini sulle colonne del Sole 24 Ore del 5 aprile. Non entrando nel merito politico o nella scelta degli strumenti più adatti per dare un seguito al bisogno diffuso di una maggiore attenzione al contatto tra i giovani ed il mondo del lavoro, raccogliamo con convinzione l’invito di Passerini ad avere e diffondere fiducia. Un impulso coraggioso che premi il merito e dia spazio alle nuove generazioni, attualizzi realisticamente il percorso universitario incentivando il contatto con il mondo del lavoro e renda quotidiano il confronto con il contesto internazionale. Forse un Ministro è troppo o troppo poco, forse basterebbe sviluppare questa consapevolezza nel mondo politico e condividere con tutti i componenti del prossimo esecutivo uno slancio al futuro, alla valorizzazione del nostro potenziale, all’ascolto della “generazione degli sprecati”. Cosa ne pensate?



Un ministro che pensi al futuro dei giovani


Di Walter Passerini

Forse è facile far proposte nel mucchio, ma l’occasione della scadenza elettorale può essere utile per lanciare una proposta al Governo che verrà: quella di istituire un ministero, un dicastero o, almeno, un sottosegretariato per i giovani.

Non è una provocazione, ma il risultato di una constatazione: la questione giovani, anche in Italia, rischia di diventare un’emergenza. È probabile che alcuni possano arricciare il naso all’idea di un ministero della Gioventù, che può evocare un lontano passato.

Né a spingere la proposta è il timore che anche in Italia possano arrivare i «casseur» e le manifestazioni dei giovani francesi contro il Cpe: abbiamo condizioni sociali e strumenti normativi diversi.

Semmai la preoccupazione nasce da una realtà sotto gli occhi di tutti. E cioè il fatto che i nostri giovani studiano, si laureano e poi hanno un impatto con il lavoro piuttosto pesante. È vero che in Italia ci si laurea più tardi, a 27-28 anni. È vero che la famiglia e il lavoro nero rappresentano i due più formidabili ammortizzatori sociali di una bomba altrimenti esplosiva. Ma quel che preoccupa è lo spreco.

Rischiarne di formare e di perdere intere generazioni: perché non trovano un lavoro coerente con gli studi fatti; perché lo studio non viene premiato da un mercato del lavoro che equipara i laureati ai diplomati; perché chi vuole fare ricerca non si ferma in Italia; perché il merito non ha una traduzione italiana; perché i talenti sono mortificati; perché migliaia di giovani escono ancora dal sistema formativo senza un titolo, di studio o professionale. Altro che la «generazione mille euro», altro che «una vita da precari». La «generazione degli sprecati» chiede ascolto, qualcuno che se ne occupi. Da qui l’idea che qualcuno prenda a cuore il problema del lavoro e della formazione, che abbia a cuore il loro futuro, che valorizzi lo studio e la formazione e non li mortifichi.

Ciascuno deve seguire le proprie attitudini, i propri sogni, ma, afferma un bel libro di An-drea Ranieri, i «luoghi del sapere sono molteplici». Si impara per il futuro dentro le aule ma anche dentro le imprese. «Imparare a imparare» è la necessità. Forse un ministero, un’istituzione per l’emergenza giovani può aiutarli ad avere più fiducia.



commento di

Manuela Arata

Presidente del Festival della Scienza

ex-Direttore Generale dell’INFM

Si parla molto in questo periodo di “fare largo ai giovani”, soprattutto in politica: benissimo, se questo non è l’ennesimo escamotage di una classe dirigente che dimostra di non voler cambiare e che cerca in questo modo di continuare a “controllare” la situazione.

Partirei da un’altra ottica: negli Stati Uniti ad esempio i giovani sono coccolati, appoggiati, considerati ed hanno opportunità di mettersi alla prova.

In Europa e drammaticamente in Italia , i giovani semplicemente non hanno voce.

A parte qualche raro caso in cui emergono come “protestatari”, chi li vede? Cosa fanno? Quali opportunità gli stiamo dando?

A conclusione del primo Festival della Scienza tenutosi a Genova nel 2003 un animatore mi disse “Grazie, lei è l’unica persona che ci ha dato un’opportunita “. E si è dimostrata una scelta giusta.

I nostri ragazzi si sono dimostrati capaci, entusiasti, convinti e fedeli a questo grande progetto che in tre anni e’ diventato grande e solido.

Nel terzo millennio abbiamo perso il senso del futuro, e fatichiamo a dare ai nostri figli delle reali opportunità: è vero, le risorse sono poche, ma far lavorare i giovani – pagandoli, anche poco, ma pagandoli – significa mettere i mattoni della nostra futura casa.

Poi ci sono molti modi per ripagare i giovani: formazione, visibilità, opportunità.

Dobbiamo avere più fiducia nei nostri ragazzi, mandarli avanti, lasciarli anche sbagliare (come diceva il mio primo capo “il meglio è nemico del bene”), dobbiamo dargli sostegno, consigli, procurare risorse, raccogliere consenso intorno alle loro iniziative: insomma cerchiamo di considerarli come meritano.

Tanti giovani arrancano in una società in cui i valori dell’essere umano sono stati sostituiti dal mercato: proprio per aiutare questi bisogna dare a coloro che si sono impegnati la possibilità di avere successo (non solo vil denaro, ma successo in termini di consapevolezza e gratificazione per sé!).

Nella mia vita professionale troppe volte ho visto il potere cancellare cose costruite da e con i giovani, senza tenere conto delle conseguenze che questo avrebbe avuto su di loro; troppe volte ho visto cadere, spesso nel silenzio, opportunità importanti per i giovani, perchè “togliere” è una cosa tangibile, mentre “non dare” è invisibile?

E invece con le nuovi generazioni possiamo creare valore e posti di lavoro nuovi, qualificati e utili.

Penso che in generale dovremmo smettere di pensare solo ai “nostri” figli ma anche ai loro amici, ai compagni, ai coetanei: cerchiamo di tornare ad essere una società che ha il senso della comunità, del valore che i giovani rappresentano e di quelle che sono le esigenze “vere” per farli crescere bene.

Perchè, come mi diceva un amico di fronte al mio stupore nel vedere quanto spazio le università americane danno ai ragazzi: i giovani sono la fantasia e il futuro del nostro Paese?