In occasione dell’annuale assemblea dei soci, l’Associazione Normalisti ha indetto un convegno per riflettere sul grande successo editoriale dei romanzi a sfondo storico negli ultimi anni. Hanno partecipato studiosi di letteratura, di cinema, critici e autori.

Mario di Napoli, ideatore del convegno e consigliere del direttivo dell’Associazione, oltre che funzionario della Camera dei Deputati e docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Rom ci spiega obiettivi del convegno.

di Fabiana Campanella

Come nasce la scelta di questo tema?

Da una considerazione che ognuno può fare in una qualsiasi libreria, a Roma come a Londra o New York. L’assoluto predominio di romanzi di narrativa che abbiano un’ambientazione storica è piuttosto significativo, negli ultimi anni. Li leggiamo sulla spiaggia o in metropolitana: ci siamo chiesti il perché di questo successo, in crescita da 25 anni a questa parte. Un ideale sottotitolo di “Il passato che ritorna” potrebbe essere infatti: “Dal Nome della Rosa (1980) al Codice da Vinci (2005)”. Dal romanzo di Umberto Eco a quello di Dan Brown sono passati infatti solo 25 anni in cui un’infinità di altri titoli hanno ripercorso le più diverse epoche storiche.

Ci sono dei periodi storici privilegiati dagli autori contemporanei?

In effetti ci sono delle epoche e personaggi ricorrenti, i Faraoni, Alessandro Magno, il Medioevo e in Europa specialmente l’età della riforma e della controriforma. Ma tendenzialmente gli scrittori attingono ovunque. C’è una certa attenzione, ultimamente, verso i temi religiosi, proprio a partire dal Nome della Rosa. Ma nessuno ancora l’ha studiata o formalizzata: in Italia è il primo convegno che si occupa di questo tema.

E delle età in cui si preferisce leggere questo tipo di narrativa? O una selezione di genere?

È un fenomeno assolutamente dilagante, dal punto di vista sia geografico che dei generi o dell’età dei lettori. Ad esempio lo stesso Harry Potter, o la narrativa per bambini o fantasy, si fonda su quella dimensione magica ripresa dai cicli di Mago Merlino, con un’ambientazione storica più o meno esplicita, e comunque non in dissonanza con il fenomeno osservato sulla narrativa per adulti.

Come è stata organizzata la discussione del 6 e 7 ottobre?

Due saranno i punti di partenza: uno è il tema in generale, sviluppato con una tavola rotonda a più voci; l’altro, il secondo giorno, è un fenomeno editoriale che ha investito gli Stati Uniti e anche il nostro Paese, il “Codice del Quattro”, romanzo “a chiave” intriso di citazioni e di storia, scritto da due giovani studenti dell’Università di Princeton. Basti vedere quanti siti web sono nati sulla scia del romanzo.

Vi siete posti il problema del web come amplificatore di fonti e fenomeni culturali?

Internet è sicuramente una risorsa incredibile per gli scrittori: non esiste più lo scrittore che si documenta in biblioteca, ormai tutto si trova in rete, indipendentemente dall’autorevolezza della fonte. D’altra parte gli scrittori sono smaliziati, sanno dove cercare e di chi fidarsi. Forse il web penalizza non tanto la legittimità delle fonti quanto la creatività stessa di chi scrive. C’è meno spazio per la fantasia quando tutto si trova già pronto: descrizioni di posti lontani, ambientazioni suggestive… Non c’è più Salgari che inventa i paesaggi selvaggi della Malesia per le avventure del suo Sandokan: il moderno Salgari avrebbe a disposizione foto, video e infiniti documenti sulle terre in cui ambientare il suo romanzo!

Ma come si rapportano gli studiosi di storia invece con i romanzi a sfondo storico?

Con diffidenza, naturalmente, se non con fastidio, poiché i romanzi spesso non si appoggiano su una documentazione fedele e verificabile. Ci sono però anche alcuni studiosi che invece scrivono romanzi. Ne abbiamo invitato uno, proprio per sapere cosa ne pensa: Alessandro Barbero, autore di romanzi di successo e docente di Storia Medievale.

Lei invece sembra entusiasta di questo successo.

Sì, sono favorevole alla diffusione di questi romanzi, perché alimentano comunque un interesse per la Storia. L’importante è non prendere tutto per vero. Viviamo un’epoca in cui il passato e il futuro sono schiacciati dalla proiezione nell’eterno presente. La memoria non occupa più un posto chiaro, i nonni sono sostituiti da surrogati narrativi che rispondono con il ritorno al passato ad un superficiale bisogno di memoria. L’altra ipotesi che svilupperemo è la difficoltà – da parte degli intellettuali come dei creativi – di interpretare il presente: la proiezione fantasiosa nel passato di complotti e trame inestricabili fornisce forse una spiegazione o una giustificazione. Giorgio Rebuffa, giurista e docente all’Università di Genova, nonché ex parlamentare, cercherà proprio di spiegare questo “codice del complotto”.

Nel cinema però i temi storici non sembrano minacciare la fantascienza. Lo stesso vale per i romanzi?

Esiste comunque una fase di stallo nella narrativa fantascientifica: non è in crisi, ma non cresce. La dinamica era molto simile: si proiettavano in un futuro minaccioso le paure del presente, così come ora si proiettano nel passato. Ora il genere fantasy, nella narrativa come nel cinema, o l’eccezionale riscoperta del Signore degli anelli, sono ascrivibili allo stesso fenomeno culturale che abbiamo esaminato nei due giorni di convegno.

Come mai la scelta del “Codice dei Quattro”?

È un romanzo di ambientazione universitaria raccontato dagli allievi dell’Università di Princeton, negli USA. Uno degli assi narrativi è incentrato sul rapporto tra ex allievi e le nuove leve dell’Università. Questo ci ha offerto lo spunto per aprire i lavori anche a giovani studiosi della Scuola Normale, che interverranno accanto ai loro docenti nel corso del convegno. Certo il contesto è diverso: in America molti degli ex allievi sono miliardari in grado di donare alle loro Università cospicue cifre di denaro! Noi ci accontentiamo di raccogliere lo stimolo alla riflessione per arricchire di contenuti il piacere di ritrovarci.

Vuole regalarci un ricordo dei suoi anni in Normale?

Ce n’è uno particolarmente legato a questa occasione: uno dei relatori, Alberto Casadei, docente di Letteratura Italiana all’Università di Pisa, era un mio compagno di collegio. Ricordo ancora, io storico, i suoi seminari sulle citazioni storiche dell’Ariosto nell’Orlando furioso. È interessante ricordare come lo stimolo della Storia fosse già presente nella creazione poetica del XVI secolo, ed è ancora più singolare notare come, a distanza di anni, l’attenzione dello studioso Casadei sia ancora indirizzata alla ricerca del passato in contesti di fantasia.