Gian Antonio Stella, ospite dei Venerdì del Direttore il 25 gennaio, ha portato alla Normale le prove di un Paese che sta invecchiando. Una soluzione ci sarebbe: il rinnovamento della classe dirigente. Ma la strada, secondo l’autore della Casta, è tutta in salita.

di Serena Wiedenstritt

Una questione d’età. Quella che penalizza l’Italia, ma che non la spaventa. Perché ci si deve mettere con i numeri alla mano, precisi, scrupolosi, come quelli che maneggia Gian Antonio Stella, per rendersi conto di quanto sia vecchia l’Italia. E di quanto sia vicina a situazioni paradossali, come quella di uno stato americano, che ha recentemente tagliato i finanziamenti alle scuole per investire in case di riposo. Stella, il giornalista -scrittore che in un Paese ormai votato all’approssimazione la rinnega e continua a fare i conti e a interrogare i numeri, passa in rassegna l’età media della popolazione, dal passato dell’Italia che si è ricostruita dopo la seconda guerra mondiale al futuro ingombro di pensionati e povero di nascite. Ma la Vecchia Italia non è una questione seria, non è tema da riforme, non è, al di fuori del Venerdì del Direttore della Normale, un tema da dibattito.

Davanti ad una sala degli Stemmi gremita di pubblico, Stella esamina la situazione universitaria, i professori che invecchiano e le cariche che diventano a vita, come quelle dei direttori del Cnr. Parla dei cervelli che non riescono a rientrare e, anche quando ce la fanno, si trovano a lavorare in un paese che li valorizza talmente poco da costringerli ad emigrare di nuovo. Stella ricorda che le più importanti scoperte scientifiche sono state idee ed intuizioni di giovani scienziati e che i Nobel vanno ai giovani. Un esempio per tanti nomi: Enrico Fermi che vinse il Nobel a meno di quaranta anni e non è certo il solo. Per il giornalista sarà difficile invertire la tendenza, far entrare aria fresca finché le vecchie guardie resteranno “imbullonate” alle poltrone.

La soluzione, per l’autore della Casta, c’è. Anzi ci sarebbe. Una classe dirigente nuova, giovane, adulta e responsabile, ma non ancora smaliziata da anni ed anni di immobilismo, che decida con coraggio e sulla base di progetti di lungo termine. Il problema resta l’ascesa di questa nuova classe dirigente, vista l’età dei rappresentanti politici attuali, gli stessi di qualche decennio fa. Anche sulla politica il confronto con l’Europa, senza bisogno di andare a cercare termini di paragone al di là dell’oceano, è impietoso e qui salgono al potere, presentati come novità, esponenti che hanno la stessa, con la quale nei paesi confinanti si va in pensione, almeno dalla politica. Anche qui non si tacciono i nomi: Blair, Schroeder fra quelli che lasciano, Zapatero fra quelli che governano.

Finito l’intervento di Stella, a metà letto, a metà raccontato dal giornalista, esplodono le domande, le generazioni si confrontano. Sicuramente sono più numerosi i giovani in sala. Dal tema del precariato alla questione della difficoltà di inserirsi in tanti – troppi – ambiti, dall’università alla politica, manifestano perplessità e dubbi e avanzano anche alcune proposte. E le proposte servono, come i dispositivi di controllo, primo fra tutti quello del giornalista, “cane da guardia” del potere. Perché ad una delle ultime domande del pubblico: “Cosa si aspettava come autore della Casta e cosa ha cambiato il suo libro?”, Stella risponde che “quanto meno adesso, quando i politici decidono di alzarsi lo stipendio, prima ci pensano su, poi cercano il modo per non farsi beccare, alla fine più spesso rinunciano, per paura di un nuovo scandalo”.

Nel prossimo appuntamento con i Venerdì del Direttore, Salvatore Settis chiamerà Giovanni Maria Flick, vicepresidente della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, a parlare dei sessant’anni della costituzione.