Convegni con centinaia di partecipanti. Successi editoriali di classici del pensiero. La filosofia sta riscuotendo un interesse crescente e sembra essere diventata una seria concorrente della psicologia come disciplina per la cura dei mali dell’anima. Michele Ciliberto analizza il fenomeno. E scopre una nuova generazione engagè.

di Andrea Pantani

“La filosofia nelle varie epoche storiche – spiega il prof. Ciliberto – ha svolto funzioni differenti e perfino si sono intese cose diverse con lo stesso termine filosofia. Ci sono stati altri tempi in cui la filosofia è stata soprattutto cura d’anima. Penso per esempio al periodo ellenistico, dopo la grande stagione di Platone e Aristotele. La stessa cosa accade, per certi versi, ora”.

Come spiega questa funzione della filosofia come cura d’anima?

Per capire la situazione attuale, bisogna tener conto di alcune modifiche di fondo che sono avvenute a partire dalla fine degli anni Settanta fino ad oggi, specialmente in Italia. Da noi, negli anni Sessanta-Settanta, parlare di filosofia voleva dire soprattutto parlare di politica e cioè di impegno civile: i filosofi erano direttamente o indirettamente impegnati in un rapporto molto stretto con la dimensione propria della politica o del vivere civile. Una condizione che si è persa negli anni Ottanta, quando il nesso tra filosofia e politica, in Italia ma non soltanto in Italia, si è incrinato e anche spezzato: Marx è andato, per così dire, in soffitta; è diventato centrale il tema della tecnica, del tramonto dell’Occidente, della secolarizzazione, sullo sfondo del tramonto delle culture dell’antifascismo in generale. Sono diventati di riferimento autori come Heidegger.

Insomma si è aperto il campo alla cura della singola persona, più che delle masse.

Esattamente. E cadendo la dimensione di massa, vengono meno le grandi narrazioni complessive, si incrina il rapporto tra filosofia e vita civile e s’impone il problema dell’individuo, dell’individualità, del rapporto individuo-tecnica. La Chiesa, a sua volta, ha ripreso a giocare un ruolo estremamente importante, specialmente presso i giovani.

Prevede cambiamenti per il futuro nel rapporto con la filosofia?

A me pare che i giovani, oggi, stiano ricominciando a riconsiderare gli aspetti legati al vivere civile: cosa significa essere giusti, cosa vuol dire essere uguali, quale deve essere il rapporto con il prossimo. E’ una percezione, ma la constato da due-tre anni: esiste un’attenzione sempre più diffusa alla dimensione della politica, un ritorno a interessi verso fenomeni di carattere collettivo e non più di tipo individuale. Il tempo della fine della politica, dell’apologia dell’individuo, della filosofia come cura sta forse entrando in crisi e ridiventa attuale un ruolo civile della filosofia. Le domande di senso non attengono più, mi pare, almeno presso i giovani che io conosco, alla sfera puramente individuale ma anche alla dimensione dell’altro, del prossimo.

Come giudica questa svolta?

In modo del tutto favorevole. Per me, che come è noto sono uomo di sinistra, la forma di concentrazione tutta sull’individuo, interpretato in termini consumistici, è la storia grave e pesante degli anni 80-90 del secolo passato. Certo, non so se si tratti effettivamente di una svolta. Del resto, io ho un orizzonte molto speciale dal quale vedo i giovani, che è quello della Scuola Normale e uno specialissimo che sono gli allievi della Scuola Normale in un corso di Filosofia Moderna e Contemporanea.

Secondo lei esiste un filosofo, oggi, che possa essere di riferimento per rispondere alle istanze che vengono dalla società ?

Il problema non è se ci sia o no un filosofo, ma cosa si domanda al filosofo: può essere molto più attuale Platone, se uno riesce a interrogarlo, o Aristotele, o Giordano Bruno, o Hegel, che non l’ultimo filosofo che pubblica l’ultimo libro. Quello che conta, diciamo, è l’attualità, la capacità di fare domande che sappiano rispondere agli interrogativi essenziali, di fondo. Ecco il perché della forza del classico: il classico è il libro che è antico e nuovo sempre, consegnato alla storia e in grado sempre di riaprire l’orizzonte della storia.

Lei ha parlato della riscoperta di Heidegger negli anni Ottanta. In Heidegger la cura dell’anima assume un significato molto esteso e complesso, che investe le multiformi relazioni implicate nell’essere nel mondo.

E’ vero, ma a me pare, come detto, che la stagione dell’ermeneutica, di Heidegger, dell’heideggerismo sia venuta consumandosi: ora hanno molta più importanza le filosofie pratiche, quelle tedesche ma anche alcuni filoni di riflessione americana che si interroga moltissimo su Aristotele. Alcuni dei migliori e più importanti studiosi di Hegel sono americani. Ma questo nuovo trend si avverte anche in Europa. Ci sono alcune domande di fondo, domande di giustizia, di uguaglianza, di solidarietà che restano vive. Ripeto, mi sembra che siamo davanti a una nuova stagione.

Lei è forse il più grande esperto di Giordano Bruno. Secondo Lei, tra le sue opere, c’è qualcuna che potrebbe fotografare la società di oggi?

Quella su cui sto facendo il corso quest’anno, che si chiama “Spaccio de la bestia trionfante”, è un’opera attualissima. In essa Giordano Bruno capisce che gli uomini, per vivere insieme, hanno bisogno di avere dei convincimenti comuni, hanno bisogno di avere un vincolo, che può essere anche la religione. A partire da qui elabora una critica di tutte le superstizioni, di tutte le forme di superstizione: soprattutto la superstizione antica, quella cristiana. Bruno cerca di costruire un’etica civile. Secondo lui il peccato che l’individuo fa con se stesso è l’ultimo dei peccati. Il vero peccato è quello civile, quando l’individuo danneggia la comunità cui appartiene. Si tratta di un vero rovesciamento: dal peccato come esperienza interiore al peccato come fatto civile: i veri santi non parlano all’interiorità, ma sono gli uomini che s’interessano del prossimo. Gli eroi della civiltà, quelli sono i veri santi.

A proposito di uomini che si impegnano nella vita civile, che giudizio dà dei politici di oggi?

Beh, non ssembrano straordinari, altro che Giordano Bruno! Per quest’ultimo più l’individuo produce modifiche sul piano civile e più deve essere considerato un eroe. Da qui l’apologia dei Romani, il vero popolo della civiltà. Muzio Scevola, Scipione l’Africano, Fabio Massimo, questi sono i veri eroi dell’umanità. Non mi pare di vedere in giro personaggi di questo genere, qualcuno che incida, migliorandolo, sul mondo in cui viviamo.

Un’ultima domanda. Si parla spesso, oggi, di crisi della psicologia. Secondo lei la crisi è reale? Sì, certo, ma anche lì è come per la filosofia: un termine quale “psicologia”, come “filosofia”, abbracci vari contenuti. Anche in questo caso le psicologie di carattere più individualistico sono andate in crisi ma le psicologie di taglio più filosofico no. Si tratta sempre, quindi, di andare a vedere, oltre le parole, quello che c’è dietro.