Un sito archeologico di fondamentale importanza. Rocavecchia, sulla costa adriatica della Puglia, è stata città più volte distrutta e ricostruita, in grado di restituire interessanti reperti risalenti all’età del Bronzo medio e del Bronzo finale(XV-XI secolo a.C.). Ne ha parlato alla Normale di Pisa, per i seminari del Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico, Riccardo Guglielmini.

di Consuelo Tarallo

Docente di archeologia e antichità egea all’Università del Salento, Guglielmini ha illustrato i risultati più recenti delle ricerche nel seminario:“Rocavecchia (Lecce). Nuove scoperte nell’ambito protostorico” . Rocavecchia, nei pressi di Melendugno, nel cuore del Salento, è un sito particolare per l’incanto dei luoghi che si incontrano con il fascino della storia.

Dal 1984 sono iniziati scavi archeologici di notevole importanza, che hanno evidenziato trattarsi dei resti di una grande città con un imponente sistema di fortificazione, costituito da mura spesse di circa 25 metri. «Dalle scoperte – ha affermato il professor Guglielmini – si ritiene che intorno al XV sec. a.C. la città sia stata assediata e incendiata. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio. La città fu più volte distrutta e più volte ricostruita, quindi, anche se si ignora chi fossero i popoli fondatori. Il sito fu comunque frequentato per tutta l’età del ferro, mentre decisamente più numerose sono le tracce relative all’età messapica (IV-III secolo a.C.): una cinta muraria che tuttavia non fu completata, un monumento funerario, diverse tombe e alcune fornaci».

Il sito, ha spiegato ancora il docente di archeologia, fu successivamente abbandonato. «Non sono state rinvenute tracce del periodo romano, mentre fu frequentato nell’alto medioevo da anacoreti, provenienti perlopiù dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo costituirono una comunità, abitando in una serie di grotte scavate nel calcare».

Dagli scavi sono emersi esempi di modelli minoici ed egei, come ad esempio 200 vasi di diversa grandezza, ricostruibili quasi per intero, numerosi oggetti di uso comune, come pugnali, oggetti di avorio, strumenti per la lavorazione della porpora, attingitoi usati per i banchetti, giare di argilla, coperchi, pezzi semilavorati di avorio. Fra i reperti anche parti di ossa con carne di animali, sacrificati prima di edificare le capanne, impronte di elementi vegetali, come foglie di alloro e corde usate per legare le ossa animali, sette scheletri di due individui adulti e cinque individui di età minore, ancora sottoposti ad analisi, che si presume potessero comporre una famiglia.

«È emersa – ha concluso Guglielmini – una tipologia diversa delle abitazioni: si è notata infatti una gerarchia degli edifici a seconda dei destinatari, che venivano sovrappopolati anche da genti lontane nei periodi di guerra e di pericolo. Si presume che Rocavecchia sia stato un importante centro di estrazione e lavorazione della porpora, anche grazie alla grande quantità di acqua potabile che garantiva la vita nella città, proveniente da un fiume sotterraneo e da numerosi pozzi».

Nonostante le difficoltà ambientali affrontate nel corso degli anni, la ricostruzione della storia di Rocavecchia si pensa determinante per delineare la fisionomia dell’aria periferia del mondo miceneo.