Ha lasciato il set del film di Nanni Moretti, Il Caimano, per venire alla Normale a fotografare gli allievi, i docenti, le aule, i laboratori della Scuola. Philippe Antonello, 37 anni, di Ginevra, è uno tra i fotografi più apprezzati della “scena” contemporanea.

di Andrea Pantani

Scena in senso letterale, perché Antonello lavora prevalentemente sui set cinematografici. Tra le pellicole più importanti finite dentro il mirino della propria macchina, Life acquatic, di Wes Anderson, Romanzo Criminale di Michele Placido, la Bestia nel cuore di Cristina Comencini, N di Paolo Virzì, The Passion, di Mel Gibson, Io non ho paura di Gabriele Salvatores.

Ad Antonello abbiamo chiesto di raccontarci i suoi dieci giorni alla Normale, una esperienza assolutamente nuova per lui.

Che impressione avevi della Scuola, prima di arrivarci?

L’impressione solita di una persona totalmente estranea alla Normale. Chi non conosce la Scuola pensa alla classica istituzione d’élite, cioè a un qualcosa di molto rigido e impostato. Mi ha colpito, invece, la grande dinamica umana presente al suo interno, articolata a tantissimi livelli: una fonte quotidiana di sorprese.

E adesso?

Dopo i giorni passati alla Normale è rimasta la consapevolezza di una istituzione garante di un livello di studi altissimo, ma l’idea di rigidità si è trasformata in una immagine di robustezza.

Oliviero Toscani venne, qualche tempo fa, all’interno delle aule e dei laboratori della Normale a fotografare dal vivo studenti e docenti. Il tuo modo di lavorare è stato diverso…

I miei sono scatti elaborati. Di solito vado sui luoghi, mi faccio una impressione del tipo di vita che vi si conduce e poi chiedo alle persone di assumere quegli atteggiamenti che sappiano rendere l’impressione avuta. Sono scatti costruiti, ma che tentano di rappresentare fedelmente un’idea, la mia idea su una determinata realtà. Devo dire che alla Normale ragazzi e docenti hanno sempre avuto un atteggiamento propositivo rispetto a questa impostazione.

Cioè?

Ho sempre trovato persone disposte a collaborare, nonostante gli impegni quotidiani. Cosa che non sempre mi capita.

L’esperienza nel cinema ti è servita nel tuo lavoro alla Scuola?

Sono due ambiti completamente diversi. Su un set trovo già tutto impostato. Si tratta di cogliere il momento giusto e fotografare. Alla Normale il lavoro è stato più complesso, ma nello stesso tempo più affascinante. Andavano rintracciate, nelle naturali scene quotidiane di attività, le inquadrature giuste e gli spunti migliori per una rappresentazione fedele e affascinante, solo dopo ho potuto realizzare gli scatti.

Hai parlato di “rendere un’idea” della Normale, quale?

Ne parlavo all’inizio, quella della forte dinamica umana all’interno delle sue aule e dei suoi laboratori. Abbiamo cercato di ritrarre le situazioni che trasmettano il senso reale di quello che accade nella Scuola, delle cose che si fanno, di come vengono affrontati studio, ricerca, insegnamento. Spero di aver reso, anche in minima parte, quel senso di movimento che ho percepito, ma nello stesso tempo di aver mantenuto l’aspetto della tradizione che si respira in Normale.

Sei stato in laboratori dove si studiano nanostrutture o si fa ricerca biomedica ad alto livello. Come si coglie la realtà di vita di luoghi così complessi.

In effetti non ho nessuna conoscenza scientifica, né pratica né teorica. E alla Normale ho avuto a che fare con strutture e ambiti di studio di altissimo profilo. Le immagini tentano di trasmettere la dimensione quotidiana del fare ricerca a un così alto livello. Con in più un senso estetico, che per me è molto importante. Perché c’è un estetica anche nel fare ricerca ad alto livello. Gli scienziati e gli artisti, in fondo, si assomigliano molto.

Gli scienziati passano la vita a cercare di scoprire cose che sembrano inutili alla maggior parte delle persone. Eppure, proprio i piccoli traguardi che si raggiungono con un lavoro oscuro, fatto giorno dopo giorno all’interno dei laboratori, portano la civiltà a progredire. Un’artista fa la stessa cosa, in un campo diverso e magari a un livello inferiore. Del resto tutte le accademie delle belle arti sono anche laboratori. Siamo tutti ricercatori.

La tua esperienza di studio è proprio all’accademia delle belle arti di Ginevra.

E’ vero, ma non ho terminato gli studi perché mi sono messo a lavorare quasi subito. Alla Normale ho ritrovato comunque lo spirito dell’accademia. Tutte le accademie hanno una struttura rigida, che serve però agli allievi ad avere solide basi senza le quali sarebbe impossibile iniziare un percorso personale di studio e ricerca.