di Andrea Pantani

Professor Barbieri, come nasce la sua passione per la fisica delle particelle.

Nasce al liceo. Allora mi interessavano le grandi domande sul mondo e pensavo che il punto di osservazione migliore per rispondere a queste domande fosse la fisica. Per questo venni a studiare alla Normale nel 1963. Sì, pensavo che la fisica fosse il modo più giusto per scoprire la vera essenza della natura.

Ed è così?

Sì, direi di sì. Naturalmente in seguito la mia visione si è allargata ma questa impressione è rimasta. Nel 1973, lasciando Pisa per il CERN di Ginevra, sono incappato per la prima volta nel “modello standard”, che è il modello di riferimento della fisica delle particelle elementari e che terminava di essere formulato nella sua completezza proprio allora. Da allora la mia attività di ricerca ha preso due direzioni: da una parte capire come verificare che il modello fosse vero, dall’altra vedere se e come integrarlo e/o migliorarlo. La verifica è culminata nei laboratori di Ginevra con la scoperta nel 2012 del bosone di Higgs. Un percorso apparentemente concluso. Ma restano problemi aperti di natura sia fattuale che concettuale: è questa l’altra direzione dei miei studi. Non esiste nella scienza nulla di definitivo.

Questo “modello” in qualche modo ha risposto a qualcuna delle grandi domande che si poneva quando era ragazzo?

Sì, in parte sì. Tenendo conto dei limiti che abbiamo, è uno dei modi più significativi che umanamente è possibile raggiungere per capire un particolare quadrante della natura. C’è un quadrante della natura che è quello delle interazioni tra i costituenti ultimi dove le leggi sono assolutamente semplici, si possono scrivere in poche righe. C’è un elemento di semplicità nella natura che rasenta il mistero.

Quale sarebbe questo quadrante?

E’ il mondo che comincia dalle dimensioni dell’atomo in giù. Le interazioni che governano questo mondo sono di una semplicità estrema e questo è il grande miracolo di questa parte della natura. Sorprendentemente queste stesse leggi si compendiano molto con quelle che governano le dimensioni delle galassie. Diciamo che il mondo infinitesimamente piccolo e quello infinitamente grande si assomigliano e sembrano descrivibili con principi elementari. E’ tutto quello che c’è in mezzo che è complicato.

Che cosa fa un ricercatore concretamente tutti i giorni.

La mia giornata è molto assorbita dagli studenti. C’è una forte interazione con loro. Diciamo che gli studenti sono la giustificazione del mio stipendio. La ricerca è libertà e la faccio per appagare determinati bisogno che ho, e cioè rispondere a quelle domande di cui parlavo. Ma questa libertà va pagata. Gli allievi che ho e che ho avuto in tutti questi anni sono secondo me il giusto prezzo da pagare per la mia libertà e tutto sommato sono stato contento di pagarlo. Poi c’è l’interazione con i miei colleghi. Adesso è molto più facile, una volta dovevo viaggiare più spesso. Quindi un’altra parte della mia giornata la dedico al confronto con ricercatori e docenti di tutto il mondo. Poi mi riservo un po’ di tempo per stare solo, con in mano una matita e davanti una pagina bianca, e riflettere.

Riflettere?

E’ fondamentale. Prendersi del tempo tutti i giorni per riflettere sugli input che ci arrivano. Lo dico sempre anche ai miei allievi. Dopo le lezioni prendetevi del tempo per pensare a quello che avete sentito. E cito la famosa terzina di Dante: “Apri la mente a quel ch’io ti paleso/ e fermalvi entro; ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso”. Purtroppo per loro però, oggi è sempre più difficile.

Ha visto qualche cambiamento nell’approccio allo studio e alla ricerca negli allievi che ha avuto nel corso dei suo anni di insegnamento?

Ho insegnato 40 anni e devo dire di no, nei miei allievi di adesso, quelli che fanno ricerca con me, in qualche modo rivedo le stesse motivazioni che avevo io quando ero studente. Se vedo un cambiamento è frutto del passaggio da una università di élite, quale era quella degli anni Sessanta, a una di massa quale quella attuale. La preparazione media degli studenti è decisamente peggiorata. Però ora come allora le eccezioni, che rientrano nel mio campione di riferimento, sono qualitativamente identiche.

A proposito degli allievi, si dice che lei sia molto severo.

E’ più uno stile, che mi garantisce quella richiesta di impegno su cui è vero che non transigo. Quando mi accorgo che l’impegno richiesto non c’è stato allora può scapparci anche qualche calcio nel sedere. Ma nel corso degli anni i miei studenti poi mi sanno apprezzare. Tempo fa hanno organizzato una giornata in mio onore. Alla fine c’è stato uno show, hanno recitato una serie di poesie molto divertenti su di me, per prendermi in giro, la cosa è andata avanti un’ora.

Dall’esterno, lei dà l’impressione di essere una persona molto schiva, dedita esclusivamente alla sua professione

Se fosse così la considererei una limitazione forte. Io penso di essere riuscito ad allargare i miei orizzonti, anche se probabilmente mia moglie direbbe che invece sono super concentrato solo sul mio lavoro. Il fatto è che un giudizio esatto su di noi lo possono dare solo gli altri. La penso come quel filosofo, che diceva che la cosa più difficile è non ingannare se stessi. Comunque, la musica mi ha molto interessato. Ho suonato anche uno strumento, esibendomi anche in qualche rara occasione, il cosiddetto flauto dolce. L’arte in generale mi appassiona molto. In essa, in quella più alta, vi ritrovo quelle strutture di semplicità che ho scoperto essere alla base della natura.

Tornando alla fisica, secondo lei qual è adesso il filone più stimolante. La fisica chimica, la fisica delle particelle….

E’ difficile dirlo. Una conseguenza delle specializzazioni è che la fisica si è molto frammentata. E non è facile per nessuno avere un quadro d’insieme. Diciamo che ci sono i filoni più applicati e ci sono i filoni in cui predomina la sinteticità, come il mio. Potrebbe essere il momento di lavorare affinché questi settori si parlino maggiormente. Ecco, posso rispondere che il filone più stimolante della fisica attuale auspicherei potesse essere quello di una maggiore integrazione tra le varie frammentazioni degli studi.

Una curiosità, chi era il filosofo che diceva che la cosa più difficile è non ingannare se stessi?

Wittgenstein.

Riccardo Barbieri è Professore ordinario di Fisica Teorica alla Scuola Normale dal 1997. Normalista, è stato visiting professor presso l’École Normale Superieure, staff member al CERN, professore di Fisica Teorica all’Università di Pisa e Miller Professor all’Università di Berkeley. E’ stato Chairman del Comitato Scientifico del Laboratorio del Gran Sasso dell’INFN e dell’Astro-particle Physics European Coordination. Ha ottenuto il premio von Humboldt.
Mercoledì 12 novembre, alle ore 18, nella Sala Azzurra del Palazzo della Carovana, terrà la conferenza: “Dall’elettrone al bosone di Higgs: una storia incompiuta?” in occasione di VIS (Virtual Immersions in Science), il progetto di divulgazione scientifica della Scuola Normale.