Lo spazio è un concetto eminentemente culturale, che si trasforma col mutare del pensiero scientifico e filosofico, delle conoscenze, delle scoperte e delle tecnologie. Con questa premessa Michele Emmer ha parlato del legame legame tra arte, matematica e scienza durante l’ultimo appuntamento di Matematica Cultuta e Società del Centro De Giorgi (Ilaria Gabbani).

Michele Emmer insegna matematica presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Il suo campo di ricerca riguarda le equazioni alle derivate parziali e le superfici minime, ma accanto all’attività di ricerca, Emmer da sempre si occupa di comunicazione scientifica: autore di numerosi testi di divulgazione (l’ultimo è Visibili Armonie. Arte Cinema Teatro e Matematica, Bollati Boringhieri, 2006), è tra l’altro ideatore del convegno annuale “Matematica e cultura”, che dal 1997 si tiene ogni anno a Venezia, oltreché regista di decine di lungometraggi, nei quali ha indagato vari aspetti della matematica, soffermandosi in particolare sui rapporti che la legano all’arte, tema al quale ha dedicato una serie di ben 18 film, realizzata per la RAI. Non dimentichiamo, infatti, che Michele è figlio di Luciano Emmer, uno dei più apprezzati registi del neorealismo.

Nel processo di mutamento del concetto di spazio, un momento di rottura è rappresentato dalla crisi della geometria euclidea che si colloca agli inizi dell’Ottocento. Successivamente, tra gli anni Trenta e Sessanta dell’Ottocento, in campo matematico si assiste ad una vera e propria rivoluzione che porta ad una rifondazione della geometria: la moderna geometria, infatti, nasce grazie alle ricerche condotte da Carl Friedrich Gauss (1777 – 1855), Janos Bolyai (1812 – 1860) e Nicolai Ivanovich Lobacevskij (1793 – 1856) che diedero vita alla cosiddetta geometria iperbolica, e successivamente dai lavori di Bernhard Riemann (1826 -1866), che sono all’origine di quella che viene comunemente denominata geometria ellittica. Questi nuovi concetti matematici producono una trasformazione radicale nel modo di concepire lo spazio, che avrà ripercussioni anche nella produzione artistica degli anni a venire.

Per raccontare la sua storia dell’idea di spazio, Emmer è partito dal concetto di metamorfosi e dalla rappresentazione datane dall’artista olandese Maurits Escher in un’incisione, “metamorphose” appunto, realizzata nel 1940. Tutta l’opera di Escher è densa di richiami alla geometria e in questo caso siamo di fronte ad una splendida storia per immagini in cui tutti i soggetti rappresentati si trasformano rapidamente in un qualcosa d’altro, in un continuo processo di mutazione. Emmer ha illustrato questa incisione servendosi di alcune immagini tratte da un suo film su Escher: all’origine c’è la parola “metamorphose”; essa presto diventa una scacchiera, dalla quale emergono dei lucertoloni, che si trasformano in esagoni regolari, e quindi in arnie, dalle quali escono delle api, che presto diventano degli uccelli, che a loro volta cedono il passo a dei pesci, che quindi si trasformano in poliedri dai quali nasce un paese, con una torre che si affaccia sul mare, che presto ridiventa una scacchiera, in un percorso circolare di mutazione.

Con un salto di mezzo secolo, Emmer ha quindi mostrato come il concetto di metamorfosi sia stato trattato dall’artista italiano Alberto Burri, che lo affronta nell’opera intitolata “Metamorfotex”: una serie di 9 dipinti rettangolari in successione che risalgono al 1991, realizzati per lo spazio espositivo degli “Ex Seccatoi del Tabacco” di Città di Castello. Dedicati a Kafka, i 9 pannelli descrivono un percorso graduale cromatico e di forme, in cui dal monocromo ocra del pannello iniziale una superficie nera si insinua nello spazio e, attraverso stadi successivi, si giunge quindi al nero finale dell’ultimo pannello.

Ma ben prima di Burri, numerosi sono gli artisti che hanno subito l’influenza delle ricerche geometriche sullo spazio. Emmer, tra gli altri, cita i cubisti e il Manifesto redatto da Guillaume Apollinaire, nel quale si parla esplicitamente di “quarta dimensione” la quale tornerà più avanti nell’opera di Dalì, in particolare nel “Corpus Hypercubus”, una crocifissione dove la croce è rappresentata per l’appunto dallo sviluppo tridimensionale di un ipercubo.

Dalla pittura Emmer è poi passato a descrivere il modo in cui alcuni concetti derivanti dalla geometria sono stati recepiti in campo architettonico ed ha mostrato come l’architettura più recente sia riuscita a produrre progetti ritenuti impensabili fino a poco tempo fa, quando ancora non esistevano né le tecnologie, né i materiali per realizzarli. Negli ultimi anni l’attenzione dell’architettura nei confronti della topologia e della geometria iperbolica ha dato origine a numerosi progetti, frutto di sperimentazioni spaziali spesso assai complesse. Gli esempi di queste sperimentazioni, a cui Emmer ha accennato, vanno da Casa Moebius, in Olanda, progettata da Ben Van Berkel & Bos; ai lavori topologici di Frank O. Gehry, dal museo di Bilbao al Guggenheim di Manhattan ; fino alle ipersuperfici e all’architettura virtuale di Stephen Perrella. A testimonianza dell’interesse dell’architettura nei confronti della geometria, Emmer ha quindi citato la Biennale di Venezia del 2004, dal titolo – ricorrente in questa conferenza – Metamorph. I curatori di quell’edizione, Hani Rashid e Lise Anne Couture, avevano dedicato un’intera sezione alle superfici topologiche e la biennale nel suo insieme intendeva tracciare il percorso compiuto dall’architettura negli ultimi trenta anni, un percorso nutrito di stimoli e suggestioni provenienti dal mondo della ricerca scientifica e dalla geometria.

Nell’ultima parte del suo intervento, Emmer ha condotto il pubblico nel campo della computer graphics e della quarta dimensione, accennando ai lavori di Thomas Banchoff, col quale ha collaborato per la realizzazione di una soluzione tecnologica per il suo film su Flatlandia (1987). Matematico, docente alla Brown University, Banchoff è noto per i suoi studi nel campo della geometria differenziale nello spazio a tre e quattro dimensioni e per lo sviluppo delle tecnologie legate alla grafica computerizzata: nel 1978 ha realizzato Hypercube, il primo film di animazione in cui in cui si vede la proiezione tridimensionale di un ipercubo mentre ruota.

Le tecniche di Banchoff sono state successivamente utilizzate dalla Lucasfilm per la realizzazione della serie Star Wars.

Ilaria Gabbani