“Here lies one whose name was writ in water” (Qui giace uno il cui nome è scritto sull’acqua): è l’epitaffio che John Keats ha voluto sulla sua lapide, nel cimitero acattolico di Roma. Una decisione radicale ed estrema che ha espulso dal marmo il nome stesso del poeta. Keats, morto giovanissimo di tisi, temeva – a torto – di essere dimenticato dalla storia. La sua tomba anticipa il lavoro ineluttabile del tempo, si trasforma in un monumento all’impermanenza, alla volatilità, alla fragilità delle umane cose. Quella lapide ha ispirato molte opere di Gregorio Botta, artista napoletano che vive e lavora a Roma: il tema del tempo è stato sempre presente nella sua poetica, come testimoniano le sue opere realizzate con la cera, il vetro, il ferro, il fuoco, l’acqua.

A partire dal 31 maggio 2016, nella Sala Stemmi della Scuola Normale Superiore, Botta esporrà una selezione di lavori, alcuni dei quali già esposti al Palazzo Te di Mantova. Tra di essi Beauty that must die, (una scrivania in cui un rettangolo d’acqua aspetta le parole del poeta: esse spariranno, ma vanno comunque scritte); Young english poet (una teca in cui viene proiettato un video di una penna che scrive invano sull’acqua) e, infine, alcuni versi incisi su tavolette di cera e piombo (le lettere sono come delle ferite, o delle sorgenti, da cui escono lacrime dolorose e vitali).