Come reagiscono le democrazie ai periodi di pandemia? In quali forme si manifestano i movimenti di protesta quando le libertà degli individui sono ridotte, e le aggregazioni impossibili? Donatella Della Porta, preside della Classe di Scienze politico-sociali della Scuola Normale, esperta internazionale di sociologia politica, analizza questi temi in un articolo su Opendemocracy.net, ripreso dal sito italiano Sbilanciamoci, che qui sotto proponiamo.

 

Di Donatella Della Porta

Tempi di pandemia sono certamente tempi di grandi sfide per gli attivisti dei movimenti sociali che si mobilitano per il progresso e la giustizia sociale. Non sono tempi di piazze. Le libertà sono necessariamente ridotte. Il distanziamento sociale rende le forme tipiche della protesta impossibili da praticare. La mobilitazione è difficile non solo nei luoghi pubblici, ma anche nei luoghi di lavoro o di studio, date le strettissime limitazioni ai diritti di riunione e delle occasioni di incontro.

La continua emergenza costringe anche gli spazi mentali, riducendo la creatività. Le risorse individuali e collettive si concentrano sulla sopravvivenza immediata. La speranza, che stimola l’azione collettiva, è un sentimento difficile da sostenere, mentre dominano paura e scoramento, che normalmente scoraggiano l’azione collettiva. Alle crisi si risponde spesso attraverso scelte egoistiche di autodifesa, si vede nell’altro un nemico. Si cerca l’efficienza nel governo e si cercano i pareri degli esperti.

Eppure, movimenti sociali si sono spesso sviluppati in momenti di grandi emergenze, di calamità più o meno naturali e di forte repressione delle libertà individuali e collettive. Le guerre stesse hanno dato vita a mobilitazioni di protesta. Non solo “states make wars and wars make states”, ma poderose contestazioni hanno accompagnato le guerre – prima e dopo, a volte durante. Le rivoluzioni testimoniano della forza della partecipazione in momenti di profonda crisi.

Momenti di crisi profonde possono (anche se non automaticamente) stimolare forme di protesta alternativa. La forte diffusione di nuove tecnologie permette la protesta online – incluso, ma non solo, attraverso le petizioni che abbiamo visto moltiplicarsi in questo periodo andando dalla richiesta di Eurobond al non-pagamento dell’affitto per gli studenti fuori-sede. Cortei di macchine hanno sostituito le marce a piedi in Israele. Lavoratori hanno rivendicato maggiore sicurezza attraverso flash mobs, con mantenimento di distanza di sicurezza. In Finlandia, gli autisti di mezzi pubblici hanno rifiutato di far pagare il biglietto ai passeggeri. Messaggi di contestazione o di solidarietà vengono lanciati dai balconi. Attraverso queste forme innovative, la protesta permette di esercitare pressione su chi governa e controllo rispetto alle loro azioni.

Di fronte alla percezione di una necessità di trasformazioni, radicali e complesse, i movimenti sociali possono inoltre agire in varie altre forme, diverse dalla protesta, che pure sono loro proprie. Innanzitutto, i movimenti sociali ricreano legami: si costruiscono su reticoli esistenti ma, in azione, si connettono e si moltiplicano. A fronte di una insufficienza dello stato e, ancora di più, del mercato, organizzazioni di movimento sociale si costruiscono – come sta succedendo in tutti i paesi colpiti dalla pandemia – come gruppi di mutuo soccorso e, come azione sociale diretta, di aiuto ai più deboli e bisognosi. Costruiscono resilienza mettendo in pratica le loro richieste di solidarietà.

I movimenti agiscono poi come canali di elaborazione di proposte. Usano sapere specialistico alternativo ma vi aggiungono anche altri saperi, legati alle esperienze dei cittadini. Costruendo sfere pubbliche alternative, le organizzazioni di movimento sociale aiutano a immaginare scenari futuri. Spazi pubblici di contaminazione permettono sia di contrastare la specializzazione dei saperi accademici che di pensare il passaggio dal sapere astratto alla implementazione concreta. Dalla contaminazione dei saperi viene anche la capacità di connettere le diverse crisi – di individuare come il cambiamento climatico, le guerre, l’espropriazione dei diritti (primo fra tutti quello alla salute) siano concause del contagio e aumentino il tasso di mortalità del virus. La riflessione nei e dei movimenti sociali porta quindi all’individuazione delle concause economiche, sociali, politiche della pandemia, che non è fenomeno naturale o castigo divino.

In questo modo, i movimenti sociali possono sfruttare gli spazi di innovazione che si aprono in momenti di incertezza. In modo dirompente, la crisi dimostra che un cambiamento è necessario – un cambiamento radicale, che rompa con il prima, e un cambiamento complesso, che vada dalla politica all’economia, dalla società alla cultura. Se in tempi normali i movimenti crescono a fronte dell’aprirsi di opportunità per cambiamenti graduali, nei momenti di crisi profonda i movimenti nascono dalla percezione di un rischio grave e profondo contribuendo a creare aperture cognitive. Mentre il quotidiano si trasforma profondamente, si creano spazi di riflessione su un futuro che non può più essere pensato in continuità con il passato.

Le crisi tendono poi ad aprire opportunità di cambiamento rendendo evidente il bisogno di responsabilità pubblica e di senso civico, di regole e di solidarietà. Se le crisi hanno infatti spesso un effetto di concentrazione di potere, perfino di una sua militarizzazione, esse dimostrano però anche l’incapacità di un governo che agisca solo attraverso la forza. Il bisogno di condivisione e sostegno diffuso per affrontare la crisi può portare a un riconoscimento della mobilitazione della società civile. La presenza di movimenti sociali interviene a contrastare i rischi di una strumentalizzazione autoritaria della crisi.

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