Ha ragione Marcel Proust quando afferma nel Contro Sainte-Beuve che l’io mondano dell’artista, quello che si manifesta in società e in famiglia, non ha nulla a che fare con l’io più intimo e profondo da cui si genera l’opera d’arte? Oppure hanno ragione quegli studiosi che sviscerando ogni particolare della vita intima di un autore pensano di ricavarne elementi di fondamentale comprensione dell’opera?
Il fratello ritrovato. Le lettere di Giovanni Pascoli a Raffaele (1882-1911) libro delle Edizioni della Normale e a cura di Alice Cencetti, che rivela il contenuto di 389 missive scritte da Giovanni Pascoli al fratello Raffaele per un arco temporale ampio della propria vita, apparentemente sembrerebbe destinato ad aumentare la mole di congetture sulla personalità biografica del poeta, sulla quale sono stati versati i proverbiali fiumi di inchiostro. Lo studio di Cencetti ci mostra invece un Pascoli ricco di aneddoti sulla propria vita – gli spostamenti dovuti al lavoro di professore, le esigenze intellettuali e materiali del poeta; ci sono considerazioni sull’omicidio del padre (ricostruzioni di atti processuali, descrizione delle caratteristiche di alcuni indiziati) – ma nessuna rivelazione fondamentale. Stessa cosa per i rapporti tra i componenti della famiglia: molte vicende dettagliate, ma nessun particolare morboso, come qualcuno si sarebbe atteso. Le lettere, insomma, configurano un Pascoli irretito sì nelle trame domestiche, ma con sentimenti più che leciti. E non solo nei confronti delle due sorelle Pascoli manifesta un attaccamento viscerale: anche il fratello, di cui si bramano segnali di affetto e di solidarietà, di comprensione e collaborazione, è oggetto di venerazione, fino a quando “Falino”, come affettuosamente viene chiamato Raffaele, non si crea un proprio nido e Giovanni a poco a poco riesce a calibrare una più misurata aspettativa nei suoi confronti. La stessa cosa del resto avvenuta con la sorella Ida, a testimonianza che per Pascoli l’universo della propria famiglia, per intero, rappresentava fonte inesauribile di palpiti e conflitti: un nucleo distrutto e da ricostruire, in cui impegnare le proprie aspirazioni affettive, per vederle perennemente rinnovate o disilluse. Consapevole, come scrive a Raffaele, che la vita ha previsto per lui un destino diverso: “Io sono uccello venuto al mondo a cantare senza fare il nido”.
Aveva ragione dunque l’autore de Il Fanciullino, quando anticipando le considerazioni di Proust, metteva in guardia i lettori dallo studio e dalle indagini sulla vita dei poeti, giudicandole “quisquilie” e “un male che ingrossa sempre di più”? E’ il 5 marzo 1993 quando alla Scuola Normale arriva una valigetta, accompagnata da un atto notarile. La valigetta contiene un epistolario: 389 missive che il poeta Giovanni Pascoli e il fratello Raffaele, di due anni più giovane, si sono scambiati tra il 1882 e il 1911, poco prima della morte di Giovanni. Su questo epistolario vige un diktat: nessuno può renderlo pubblico se non 50 anni dopo la morte di Luigia Pascoli, figlia di Raffaele, avvenuta nel 1965, come da espressa volontà della stessa Luigia. Sul segreto che accompagnava questa donazione erano state formulate le più svariate congetture. Perché tenere “nascoste” le lettere per così tanto tempo?  “L’epistolario col fratello Raffaele – spiega Cencetti – ridimensiona molto il mito di un Pascoli invischiato morbosamente dal legame con le proprie sorelle, sia perché non vi si trovano accenni a rapporti presunti illeciti con esse, ma soprattutto perché quegli stessi affetti legavano Giovanni al fratello, e in misura quasi analoga Raffaele a Giovanni, almeno fino a ché “Falino” non si costruì un proprio nucleo familiare. E’ invece interessante vedere Pascoli al di fuori dell’immagine convenzionale di un ambiente al femminile: con il proprio fratello Pascoli usa un linguaggio più franco, diretto, confessa stati d’animo altrimenti indicibili, racconta, a volte con un linguaggio ostentatamente trivio, anche alcune vicende pratiche della propria vita: ci offrono quindi la possibilità di vedere un Pascoli uomo tra gli uomini ed è forse questo aspetto che in qualche modo la famiglia ha voluto tutelare per così tanto tempo. Anche perché l’ascesa sociale di una famiglia nell’Italia di fine Ottocento esige criteri di rispettabilità che i Pascoli, gravati dall’ingombrante presenza/assenza del “miserabile” fratello Peppino, hanno penato a raggiungere”.

 

Pisa 17 maggio 2017