Di Francesco Giancane

Cosa fa un filologo? Decide, per esempio, come si deve stampare quel sonetto di Dante che inizia con il verso Tanto gentile e tanto onesta pare. Confronta i manoscritti e le stampe che lo hanno trasmesso in modo sempre un po’ differente e lo ricostruisce poi con criterio, parola per parola. Nasce così il «testo critico», quello su cui riflettono gli interpreti e che, per la sua affidabilità, è riprodotto con minimi aggiustamenti dappertutto, dalle edizioni più eleganti ai tascabili e alle antologie per la scuola: quella è la forma in cui i classici si depositano nella memoria condivisa dei lettori.

La forma di Tanto gentile che forse gran parte di noi ha in mente si deve a Michele Barbi, che curò nel 1907 il testo critico de La vita nuova, l’opera dantesca che include il sonetto. Era nato nel 1867 in una località della Montagna pistoiese, morì a Firenze nel 1941. Non percorse una carriera universitaria luminosa, ma fu il responsabile o il punto di riferimento di molte delle imprese che la migliore filologia del primo Novecento dedicò alla lingua e alla letteratura italiana: i suoi lavori, le sue indicazioni operative guidano ancora oggi gli specialisti. Barbi volle che i propri libri, la corrispondenza e le carte di lavoro fossero conservate alla Scuola Normale di Pisa, per consentire ad altri, più giovani, di riprendere da dove lui si era interrotto. Sollevarsi sulle spalle dei giganti, però, può essere difficile: lo sa chi si è immerso nei testi popolari in trascrizione radunati dal filologo, talvolta accompagnati da melodie, che occupano quasi un terzo dei ripiani assegnati nel Centro Archivistico della Normale al suo lascito. Sono più di ventimila carte, risultato delle indagini svolte da Barbi in prima persona o tramite questionari, per decenni, contemporaneamente ai lavori su Dante e sugli altri classici. Nata come schedario personale, la raccolta si trasformò nella base documentaria di un grande progetto di classificazione, ricostruzione storica ed edizione della letteratura in versi, per lo più cantata, della Toscana e, anche se in misura minore, delle altre regioni d’Italia. Si tratta di componimenti diffusi attraverso canali anomali: la tradizione orale, le annotazioni private di cantori dilettanti e improvvisatori, i fogli volanti, i libretti e le riviste a stampa di basso costo. Componimenti di solito semplici da interpretare, ma che per essere presentati al lettore richiedono sforzi pari a quelli che richiede Dante. Anche davanti a una ninna nanna, o a filastrocche come Madama Dorè e Sotto la pergola ci sta l’uva, il filologo è chiamato a esaminare le loro differenti versioni, per poi offrire, se non un unico testo affidabile, un’affidabile storia della loro diffusione e delle loro trasformazioni, magari in un periodo e in uno spazio delimitato. Le sue ricerche devono avanzare a ritroso, dalla memoria degli informatori fino alla formulazione di un’ipotesi sul luogo, il tempo, il contesto in cui hanno avuto origine i versi che gli vengono riferiti.

In questi termini potrebbe essere descritto il progetto di Barbi, su cui ebbe però la meglio la mole del materiale, che lo studioso non riuscì a pubblicare né soltanto a ordinare per intero. Lo stesso accadde ai tanti che, dopo la sua morte, si fecero carico della stessa impresa, i quali, senza volerlo, resero la struttura interna di questo archivio ancora più difficile da decifrare. A ottant’anni dalla pubblicazione del volume che include i saggi più importanti di Barbi sul tema (Poesia popolare italiana. Studi e proposte, 1939), alla Normale sta per essere completata la sistemazione di questa eredità impegnativa, su cui il Centro Archivistico investe da qualche tempo; si prevede la pubblicazione di un inventario, di un repertorio delle raccolte periferiche confluite nel fondo, di un incipitario, di un’edizione selettiva. Come nel caso degli altri archivi conservati nella struttura, ci si preoccupa di tutelare anche la materialità dei documenti, spesso fragili biglietti di carta strappati da un bloc-notes. Gli strumenti di consultazione che oggi si redigono vorrebbero consentire agli studiosi di frequentare con agio la Raccolta Barbi, e rendere attuabile l’ambizioso disegno iniziale, aggiornato allo stato attuale delle conoscenze e della tecnica filologica. A che scopo? Si immagini un mondo in cui le scienze naturali decidano di applicare i metodi di indagine che si ritengono più corretti a tutto il regno animale ma non agli insetti, perché le loro specie sono troppo numerose per poter essere individuate e confrontate tutte. A Pisa, con i lavori sulla Raccolta, si cerca appunto di scongiurare, trasposto nell’àmbito degli studi filologici italiani, uno scenario simile, una situazione cioè in cui si rinuncia alla conoscenza di un universo complesso perché non si riesce a comprenderlo e a ordinarlo in modo facilmente consultabile. Si cerca di rendere utilizzabile un atlante che aiuti studiosi e lettori a orientarsi nel settore forse più sfuggente dell’intero patrimonio letterario italiano: la poesia dei meno istruiti, la sua storia, la sua lingua.

Francesco Giancane