Un gruppo di ricerca della Scuola Normale ha sviluppato per la prima volta un modello transgenico in grado di riprodurre i tratti distintivi della HSAN V, patologia che determina una congenita incapacità di percepire il dolore. Lo studio su The Journal of Neuroscience.

(Pisa, 29 novembre 2019)

Il dolore è una spiacevole, ma fisiologica, risposta sensoriale che ci protegge da comportamenti dannosi ed autolesionistici. A volte, però, il dolore diventa cronico, manifestandosi in assenza delle cause che lo hanno inizialmente generato. Far luce sulle modalità con cui il cervello interpreta la sensazione di dolore e ne costruisce la percezione è uno degli obiettivi della ricerca del Laboratorio di Biologia della Scuola Normale Bio@SNS, diretto da Antonino Cattaneo.

In un originale approccio, ricercatori di Bio@SNS hanno studiato il fenomeno opposto, una rara patologia genetica nota come Hereditary Sensory and Autonomic Neuropathy type V (HSAN V), che determina negli individui affetti una congenita incapacità di percepire il dolore e di rispondere a stimolazioni nocicettive, riuscendo a sviluppare per la prima volta un modello transgenico in grado di riprodurre i tratti distintivi di questa patologia. Lo studio, appena pubblicato sulla rivista The Journal of Neuroscience, costituisce la base per sviluppare una nuova generazione di analgesici che agiscano molto più efficacemente sul dolore cronico rispetto agli attuali trattamenti clinici.

La patologia HSAN V è dovuta a un comportamento anomalo della proteina NGF (Nerve Growth Factor), la molecola scoperta da Rita Levi-Montalcini: in particolare alla mutazione genetica di uno solo dei 118 amminoacidi che compongono la proteina stessa. I soggetti affetti da HSAN V sono incapaci di avvertire in modo adeguato le sensazioni dolorifiche, ma non hanno però deficit cognitivi, nonostante l’importanza di NGF anche nei processi di apprendimento.

Il modello transgenico sviluppato dai ricercatori di Bio@SNS ha permesso di dimostrare che la mutazione nel gene dell’NGF determina una ridotta percezione del dolore, ma mantiene inalterata la capacità di questa proteina di favorire la sopravvivenza e il corretto sviluppo delle strutture del sistema nervoso periferico responsabili della trasmissione dei segnali dolorosi al cervello.  

«Capire i meccanismi che possono compromettere la capacità di percepire gli stimoli nocivi – spiega Simona Capsoni, coordinatrice dello studio - può rappresentare un modo alternativo per far luce su come invece il cervello percepisce il dolore, a partire dai segnali periferici. Studiare chi vive senza dolore può aiutare inoltre a sviluppare nuovi approcci terapeutici per trattarlo in modo più efficace. Anticorpi che inibiscono NGF e/o il suo recettore sono infatti in sperimentazione clinica per il dolore cronico. Il nostro gruppo di ricerca sta lavorando proprio su questo».

In questo senso, «i risultati dello studio appena pubblicato sul mutante NGF suggeriscono- come afferma Giovanna Testa, neo perfezionata in Neuroscienze alla Normale - che molecole in grado di riprodurre le sue particolari proprietà possano ispirare una nuova generazione di farmaci analgesici per il trattamento del dolore cronico».

Lo studio ha come prima autrice Giovanna Testa, ed è stato condotto in collaborazione tra il Laboratorio Bio@SNS e gruppi di ricerca all’ EMBL (Monterotondo), EBRI (Roma), CNR  (Istituto di Neuroscienze di Pisa ed Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare di Roma), coordinati da Simona Capsoni (Università di Ferrara oltre che Scuola Normale) ed Antonino Cattaneo. La ricerca è stata finanziata da Telethon e dalla Comunità Europea (Progetto PAINCAGE, un consorzio di 9 partners coordinati dalla Scuola Normale).