Intervista a Teresa Fornaro, tra i 13 Participating Scientist della missione della NASA Mars 2020. Dallo scorso 18 febbraio il rover Perseverance cerca di rilevare su Marte la presenza di tracce di vita passata nelle rocce più antiche.

Pisa, 10 maggio 2021. 

Obiettivo, Marte. Dagli anni Sessanta ad oggi questo pianeta, distante dai 54 ai 401 milioni di km dalla Terra a seconda della posizione sulla sua orbita spaziale, ha attirato decine di missioni: americane, russe, europee. Un numero considerevole di sonde, che non prevedono la presenza di equipaggio umano, hanno indagato atmosfera e suolo del pianeta battezzato con il nome del dio romano della Guerra. E in effetti Marte appare come uno scenario apocalittico post bellico: un luogo arido e gelato, con deserti sabbiosi e calotte polari, attraversato da una pioggia di radiazioni che sembra non consentire lo svilupparsi di forme di vita. Eppure su Marte resta focalizzata l’attenzione delle principali agenzie spaziali. L’ultimo rover inviato su Marte in ordine di tempo si chiama Perseverance, e vede coinvolta la scienziata Teresa Fornaro*, unica italiana scelta dalla Nasa tra i 13 Participating Scientist recentemente aggiunti al team di Mars 2020 per contribuire alle attività scientifiche del rover Perseverance attraverso progetti innovativi ed expertise complementari a quelle degli altri membri del team. Dallo scorso 18 febbraio Teresa, che nel 2016 si è dottorata in Chimica alla Scuola Normale, sta studiando i dati inviati dal Rover dall’Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Perché questo interesse per Marte, un pianeta inospitale e lontanissimo (occorrerebbero 6-7 mesi per raggiungerlo)?
Perché è il pianeta che è stato in passato più simile alla Terra, avendo avuto condizioni geochimiche simili alle nostre, con la presenza di acqua e atmosfera, tant’è che pensiamo possa esservi sviluppata vita a livello di batteri circa 4 miliardi di anni fa, più o meno lo stesso periodo in cui si è generata sulla Terra. Scoprire i segreti nascosti nelle rocce più antiche di Marte è come andare a caccia di “fotografie dei nostri antenati”. Con un vantaggio rispetto alle ricerche terrestri: da noi è praticamente impossibile trovare queste fotografie, perché la tettonica a placche ha prodotto trasformazioni irreversibili. Su Marte invece sono presenti rocce ben preservate, e tra le rocce più antiche potremo forse trovare fossili di forme primordiali di vita unicellulari, o tracce di esse, che qui sulla Terra non possiamo più trovare.  

Come sono iniziate le tue collaborazioni con le missioni spaziali su Marte?
Fin dalla tesi magistrale, che ho svolto all’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, mi sono occupata di esperimenti di rivelazione di molecole biologiche su Marte per supportare la missione ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea e Russa, con un significativo contributo da parte dell’Agenzia Spaziale Italiana. Durante il perfezionamento in Normale ho sviluppato nel gruppo di Chimica computazionale del Prof. Vincenzo Barone dei metodi computazionali per aiutare l’interpretazione dei dati forniti da strumenti spettroscopici a bordo di ExoMars e altre missioni spaziali. Ho davvero fatto una esperienza a tutto tondo in Normale perché ho avuto la possibilità di effettuare sia studi teorico-computazionali, che di collaborare con altri enti nazionali e internazionali per studi sperimentali complementari, come appunto l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri a Firenze e il Geophysical Laboratory del Carnegie Institution for Science a Washington DC (Stati Uniti), dove sono poi tornata per una esperienza di post-dottorato dopo aver conseguito nel 2016 il dottorato in Normale. Durante la postdoctoral fellowship al Carnegie Institution for Science ho iniziato a lavorare anche per la missione Mars Science Laboratory della NASA (il rover Curiosity), effettuando studi sull’interazione di molecole organiche e minerali del suolo marziano. Nel 2020 la NASA ha aperto un ulteriore bando per selezionare 13 scienziati partecipanti alle attività scientifiche di Perseverance: io ho presentato un progetto sulla ricerca di molecole organiche e tra 119 proposte hanno selezionato anche la mia.

Ci sarà una ulteriore missione su Marte che ti vede coinvolta?
La Missione ExoMars, ancora più promettente di Perserverance, perchè manderà su Marte nel 2022 un rover di nome Rosalind Franklin con un trapano capace di penetrare 2 metri nel sottosuolo marziano per cercare tracce di vita maggiormente preservate rispetto a quelle che Perseverance potrà trovare nei primi centimetri sulla superficie del pianeta. La superficie di Marte è condizionata dalle forti radiazioni solari e dai raggi cosmici galattici, che hanno prodotto nel tempo anche delle sostanze ossidanti nello strato più superficiale del suolo marziano: un mix che porta alla degradazione di molecole organiche. Ma nel sottosuolo ci aspettiamo che gli effetti di radiazioni e ossidanti siano molto più limitati e quindi sia possibile maggiore preservazione di possibili tracce di vita. Tra l’altro questa missione prevede un forte contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana ed è a leadership industriale italiana.

Che origine ha il tuo interesse per la scienza.
In realtà sono sempre stata attratta sia dal mondo scientifico che dal mondo umanistico e non ho mai avvertito contraddizioni in questo. Direi anzi che mi sono avvicinata alla scienza per interessi filosofici. Questioni come sapere perché siamo come siamo, da dove veniamo, o se siamo soli nell’universo, hanno sempre esercitato su di me un fascino profondo. Andando avanti con la scuola ho capito che con la scienza avrei potuto avere gli strumenti giusti per poter cercare qualche risposta. Mi sono quindi indirizzata verso lo studio della chimica, e all’università è maturata la scelta di orientarmi verso l’astrobiologia.

L’astrobiologia è una disciplina recente, come mai la scelta di specializzarsi in questa materia?
L’astrobiologia è lo studio dell’origine, evoluzione e distribuzione della vita nell’universo. Mi sembrava quindi il perfetto indirizzo da dare ai miei interessi. Infine mi sono focalizzata su Marte, il pianeta che si presta meglio a dare queste risposte.

È davvero possibile che la vita che si è originata sulla Terra provenga da Marte?
Ci sono varie teorie: una di queste in effetti ritiene che si sia generata su un pianeta diverso dal nostro e sia stata trasportata attraverso le meteoriti. Secondo la litopanspermia, la materia vivente potrebbe essere trasferita da un pianeta ad un altro, in seguito all’impatto di meteoriti su uno dei due pianeti, che porta all’espulsione di frammenti, contenenti appunto questo materiale biologico, che lanciati nello spazio potrebbero, poi, arrivare sulla superficie dell’altro pianeta e inseminarlo. Questa ipotesi della litopanspermia è avvalorata dal continuo scambio di materia tra Marte e Terra attraverso micrometeoriti, e ci sono anche degli studi che hanno dimostrato che microorganismi potrebbero sopravvivere alle condizioni estreme sia per quanto riguarda l’impatto del meteorite sul pianeta d’origine, il viaggio interplanetario e poi l’ingresso in atmosfera e l’impatto sul pianeta di destinazione. L’altra teoria ritiene che possa essersi originata indipendentemente sui due pianeti dando origine ad una biochimica simile, avendo condizioni geofisiche e chimiche simili 4 miliardi di anni fa. Stiamo infatti cercando su Marte delle tracce di una vita simile a quella terrestre, parliamo di batteri unicellulari. Non ci aspettiamo organismi più complessi come batteri multicellullari, perché le condizioni favorevoli alla vita su Marte non sono durate molto a lungo da un punto di vista geologico. Tuttavia, poter trovare tracce di vita unicellulari sarebbe comunque un traguardo straordinario, che potrebbe insegnarci anche qualcosa su quello che possiamo essere stati in principio.          

                                                                                                                                                                 Andrea Pantani

*Teresa Fornaro è nata ad Avellino il 16 giugno 1987. Dopo la laurea in chimica conseguita all’Università Federico II di Napoli, dal 2012 al 2015 è stata dottoranda in Chimica alla Scuola Normale Superiore, sotto la supervisione del professore Vincenzo Barone, conseguendo il titolo con una tesi su studi spettroscopici di sistemi molecolari rilevanti per l’astrobiologia. Dopo alcune esperienze di ricerca, tra cui al Geophysical Laboratory del Carnegie Institution for Science, a Washington DC, è adesso ricercatrice dell’istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, a Firenze.

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