Nel centenario della nascita di Gianfranco Folena, insigne filologo e linguista, la Scuola Normale ricorda il suo allievo con uno scritto di Claudio Ciociola che rievoca i tempi subito prima della partenza per la guerra. Per celebrare il centenario sono previste numerose iniziative e
convegni ed è stato costituito un Comitato Nazionale.

Di Claudio Ciociola*

Gianfranco Folena, del quale si è celebrato il 9 aprile 2020 il centenario della nascita, è stato filologo e storico della lingua illustre: originale innovatore degli studi in ambiti disparati, dalla storia della tradizione (Dante) alla lessicografia dialettale. Lo spettro dei suoi interessi ha abbracciato epoche diverse, dal Medioevo al Novecento. Di particolare originalità e rilievo, tra gli altri, i suoi studi sul significato del tradurre, sui testi teatrali (Goldoni) e sul ruolo europeo dell’italiano, in particolare nella tradizione operistica settecentesca (Da Ponte). Affascinante un suo saggio sull’italiano epistolare di Mozart.

Allievo, alla Scuola, del corso ordinario nel 1937-38 (in seguito interruppe gli studi, anche per l’incalzare degli eventi bellici), vi ebbe maestri l’italianista Luigi Russo (al quale vent’anni più tardi sarebbe succeduto nella direzione degli «Scrittori d’Italia») e, particolarmente influente nel formarsi dei suoi interessi e del suo metodo, il classicista Giorgio Pasquali. Con Folena, nel ’37, erano entrati in Normale, tra gli altri, Carlo Azeglio Ciampi e Scevola Mariotti. È lo stesso Folena a dipingere, con tratti arguti, la scena del suo primo incontro con lo “sguardo fiammeggiante” di Russo durante il concorso di ammissione, che si svolse al cospetto dello stesso Russo, del filosofo Giovanni Gentile – Direttore della Scuola – e di Pasquali: «Chi scrive – gli sia concesso un ricordo personale –, fresco della fervida lettura di quello [allude alla prima ed. dei Ritratti e disegni storici di Luigi Russo, usciti appunto nel 1937] e degli altri suoi libri che a lui, studente di liceo, avevano aperto un nuovo orizzonte critico e morale, lo conobbe allora all’esame d’ammissione alla Scuola Normale di Pisa, dov’egli sedeva tra Giovanni Gentile e Giorgio Pasquali; e ricorderà sempre la paterna autorità con cui quell’uomo grande e severo dallo sguardo fiammeggiante di terribile arcangelo sapeva vincere la timidezza dei giovani, senza debolezze, sciogliendola nel calore umano del discorso. Visto il mio tremore, cominciò inaspettatamente col chiedermi di recitargli una poesia del Carducci. Sapevo a memoria “Faida di comune”, e gliela dissi tutta, e lui con me a rinforzare e colorire con la sua voce calda e possente».

La stima subito riposta nelle capacità del giovanissimo allievo affiora in un significativo episodio rievocato da Pasquali. Nel commemorare, nel 1942, un altro grande normalista, Michele Barbi, Pasquali ricordava il desiderio dell’illustre dantista di vedersi affiancato da un giovane di talento nel progetto vagheggiato di un nuovo commento scientifico alla Commedia. «Negli ultimi mesi, quando ormai ricusava di fare nuove conoscenze, perché voleva portare il proprio lavoro ancora un passo innanzi prima di morire, mi chiese d’indicargli un giovane che potesse aiutarlo negli studi danteschi. Io designai uno studente che stimo per la finezza dell’ingegno, ma anche per la delicatezza dell’animo, congiunta, come spesso, con certa timidezza. Questo studente si presentò al Barbi; il quale lo trattenne per quattr’ore, gli aprì tutto l’animo proprio, gli fece dono delle proprie opere. Il ragazzo era commosso. Ora è in guerra: Dio voglia che sia conservato agli studi!». Quel giovane era Folena, come risulta da una lettera di Pasquali a Dino Pieraccioni di alcuni mesi prima: «Barbi […] mi ha chiesto se io potevo trovare un italianista, linguista e medievalista giovane che potesse e volesse volger la sua vita a un commento scientifico della Divina Commedia. Io ho pensato subito a Folena, ch’è dotto e ha ampie letture e gusto di lingua. Barbi ha accettato, e Folena dopo una serata di esitazione ha accettato, grato a Barbi e a me».

Uno degli aspetti più tipici, sempre rievocati, della “maieutica” didattica di Pasquali (connesso alla consuetudine seminariale da lui importata alla Scuola sul modello dell’università tedesca), era la grande disponibilità al dialogo con gli allievi. Per illustrare, anche visivamente, tale aspetto della personalità del grande studioso fu scelta, nel corredo fotografico di un articolo-intervista di Eugenio Montale (Il “filologo soprano”: Giorgio Pasquali, «Tempo», 7 gennaio 1943), un’immagine che raffigura il filologo, nel suo studio fiorentino, a colloquio con un giovane allievo. Recita la didascalia, da attribuirsi certo a Montale: «Noto è il suo amore per i discepoli: ad essi dedica molte ore della sua operosa giornata, le sue passeggiate, i suoi brevi ozi. Ne ha sempre qualcuno al seguito, in casa e fuori di casa, come un’appendice naturale: e per essi, in piacevole, cordiale, affettuosa conversazione, quotidianamente riprende temi e argomenti della sua ricca e appassionata dottrina». È agevole riconoscere, nelle fattezze del giovane in «piacevole, cordiale, affettuosa conversazione» con Pasquali, i tratti del ventenne Folena.                                                                                                    

* (I tre episodi “normalistici” sono rievocati, con ulteriori rimandi, in C. Ciociola, La filologia di Folena, in Folena dieci anni dopo. Riflessioni e testimonianze, a cura di I. Paccagnella e G. Peron, Padova 2006, alle pp. 15-16, 19-20; la foto vi è riprodotta a fronte di p. 18)

Galleria video e immagini