I motori termici sono macchine che ricevono calore da una fonte calda, lo trasformano in parte in energia utile (lavoro), e cedono il calore restante ad una fonte fredda. Le loro dimensioni possono variare dalla scala nanoscopica (ne è un esempio la macchina a singolo ione in trappola) alle decine di metri (ad esempio una centrale geotermica), ma, indipendentemente dalle loro dimensioni, sono tutte accomunate dalle stesse limitazioni. L’efficienza della conversione di calore in lavoro non può superare una soglia massima (trovata da Sadi Carnot nel 1824) che dipende solamente dalle temperature delle due fonti di calore.
E’ opinione comune che l’efficienza massima (chiamata efficienza di Carnot) si possa raggiungere solamente a potenza erogata nulla, ma nessuna delle leggi della termodinamica finora note sembra impedirlo. In una ricerca appena pubblicata su Nature Communications, Michele Campisi e Rosario Fazio hanno sottoposto questa questione ad uno scrutinio approfondito ed hanno trovato che è possibile, in linea di principio, avvicinarsi all’efficienza di Carnot senza dover rinunciare alla potenza. Secondo la loro analisi ciò accadrebbe quando il fluido di lavoro ospitato nel motore cha scambia energia con le due fonti di calore, è vicino ad una transizione di fase.
Il nuovo meccanismo aiuterebbe a progettare dispositivi di conversione di lavoro in calore che siano più efficienti e più potenti, per esempio nella nanontecnologia a stato solido.