Secondo uno studio del cosmologo Andrea Ferrara e del suo team di ricerca alla Scuola Normale, la colorazione blu  - e non rossa come ci si aspetterebbe - delle galassie giganti fotografate dal telescopio spaziale Webb dipende da super venti galattici, che hanno spazzato via la polvere e i gas che le circondavano all’alba dell’Universo. Lo studio pubblicato oggi sulla rivista britannica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.


PISA, 9 maggio 2023. Tra le scoperte più sensazionali del James Webb Space Telescope, il più grande telescopio spaziale mai costruito in orbita dal giorno di Natale del 2021, c’è senz’altro un’abbondanza sorprendente di galassie giganti, che contengono fino ad un miliardo di stelle come il Sole, già ai primordi dell’Universo. Un periodo che gli astrofisici denominano l’alba cosmica, a più di 13 miliardi di anni luce da noi. Non soltanto queste galassie sono massicce, ma la loro luce è molto blu, il che ha guadagnato loro l’appellativo di 'mostri blu'. Tale fatto rappresenta un interrogativo spinoso: normalmente, più le galassie sono massicce più tendono ad essere di colore rosso, perché le stelle durante la loro evoluzione producono dei minuscoli grani di polvere (come quella che troviamo sui mobili a casa) che assorbono preferenzialmente la luce blu e lasciano passare quella rossa. 

Come risolvere queste apparenti contraddizioni sollevate dalle bellissime immagini e misure di Webb? Andrea Ferrara, cosmologo della Normale, ed il suo team di ricerca hanno ora pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society in cui avanzano l’ipotesi che offre una soluzione al dilemma. In pratica, la polvere che le stelle hanno formato viene spazzata via da potentissimi venti che emanano dalle stelle stesse. Ferrara ha invocato un processo, chiamato pressione di radiazione, che implica che la luce stessa emessa dalle stelle eserciti una forza che accelera la polvere ed il gas circostante, spazzandoli fuori dalla galassia. Una specie di “soffiatore cosmico”, quindi, che pulisce i detriti stellari permettendo alla luce delle stelle di raggiungerci direttamente senza passare attraverso quella cortina fumosa.

«I dati che Webb ci sta mandando sono di una qualità incredibile e ci permettono di comprendere come l’Universo si sia evoluto nelle sue fasi iniziali, quando tutto ciò che vediamo oggi doveva ancora formarsi – commenta Ferrara -. Se la nostra spiegazione della colorazione blu delle galassie fotografate fosse corretta la presenza di venti di altissima velocità (un milione di km all’ora!) avrebbe implicazioni notevoli per la visibilità di questi oggetti così lontani, al tempo stesso determinando le loro proprietà fisiche e il loro tasso di formazione stellare».

Non sono chiari i meccanismi che possono aver portato alla rapida formazione di un numero così grande di stelle, tanto che alcuni scienziati ipotizzano che i nuovi dati raccolti da Webb potrebbero imporre anche una revisione del modello cosmologico standard del Big Bang, ma intanto il modello dei venti prospettato dallo studio di Ferrara e del suo team offre una spiegazione fisica ad un puzzle che altrimenti non è facilmente componibile. 

 

 

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