Si tratta di un imponente lavoro filologico riguardante ventimila carte donate dagli eredi di Michele Barbi alla Normale nel 1942, che raccolgono i testi di canzoni, sonetti, filastrocche, stornelli in voga tra le popolazioni toscane (e non solo) tra Otto e Novecento.

Pisa, 13 gennaio 2020.

Stanno per essere completati, dopo alcuni anni di lavoro filologico, un’ampia edizione critica selettiva e un inventario della raccolta di Michele Barbi dedicata ai canti popolari italiani, e in particolare toscani. Si tratta di un corpus ingente di testi di grandissimo valore documentario, donato alla Scuola Normale dagli eredi dell’illustre filologo conformemente alla sua volontà e depositato presso il Centro Archivistico.

Oltre ventimila carte di materiale per la maggior parte inedito, su cui sono state trascritte canzoni in voga tra fine Ottocento e inizio Novecento tra le popolazioni dell’appenino pistoiese, dove Michele Barbi era nato nel 1867 (a Taviano di Sambuca Pistoiese), così come di altri luoghi della Toscana e di altre regioni d’Italia. Alcuni canti sono accompagnati dagli spartiti, ma per la maggior parte viene solo riportato il testo. Tra i libretti e i quaderni raccolti da Barbi si trovano anche filastrocche, stornelli, sonetti, ninne nanne: componimenti aventi un interesse scientifico che supera quello puramente “romantico” per il folklore e la letteratura popolare in voga nell’Ottocento, e riaccesosi di recente in Italia.

 

Alla ricostruzione critica sia dell’archivio, sia dei canti e degli altri componimenti della raccolta Barbi sta provvedendo da alcuni anni uno studioso, Francesco Giancane, già allievo del corso di perfezionamento e poi assegnista di ricerca della Scuola Normale. Un lavoro compiuto con grandi difficoltà, vista la mole del materiale da censire, il numero di varianti di uno stesso testo (l’interesse di Barbi per questi scritti era prettamente filologico, per cui di un canto possono essere presenti nella raccolta anche centinaia di versioni, provenienti da varie località italiane), la provvisorietà dei supporti su cui sono stati trascritti i componimenti, alcuni dei quali sono depositati su semplici fogli volanti, se non pezzi di carta malconci, da salvare dal disfacimento (articolo di Francesco Giancane).

A partire dal 2020 della Raccolta Barbi vedranno finalmente la luce un inventario, un repertorio delle raccolte periferiche confluite nel fondo, un incipitario, un’edizione selettiva. La collezione manoscritta di canti e melodie popolari è frutto di una capillare raccolta intrapresa dal Barbi, ancora studente, nel 1886, e proseguita poi per tutta la vita. Non è l’unica eredità del filologo custodita a Pisa: nel suo testamento, scritto nel 1937, Barbi destinò alla Normale anche il proprio fondo librario e il suo archivio privato (carteggio, materiali manoscritti, estratti e opuscoli, ritagli di giornale).

Ecco due esempi del materiale della Raccolta, un canto sul pellegrinaggio religioso (Pellegrino che vien di Roma), testimonianza di un gusto per l’ironia e la dissacrazione religiosa e un sonetto di Ulisse Saletti, muratore di Seggiano sull’Amiata, datato 1918, che documenta invece l’ostilità anti-tedesca diffusa in Italia nei primi del Novecento e nel primo Dopoguerra.


Pellegrino

Pellegrino che vien di Roma,
Scarpe rotte le porta in piè,

Pellegrino che vien di Roma
Dico ben, caro bè
Scarpe rotte le porta in piè.

Ci vorrebbe una capannella,
Pe alloggiare lo Pellegrin
Ci vorrebbe una capannella
Dico ben, caro bè
Pe alloggiare lo pellegrin

Se tu fossi un galantuomo
ti manderei colla mia mogliè
Se tu fossi un galantomo
Dico ben, caro be

Ti manderei colla mia mogliè […].

 

Civiltà Germanica

O tu Germania, che vantavi tanto,

Scienza, civiltà e menti sane
Sei stata apportator miseria e pianto
E mietitor di tante vite umane

Del male fatto, se rifletti alquanto,

Che per lo sfogo d’un capriccio infame
Tutta l’umanità si trova intanto
Nei dolori, le pene e nella fame.

A chi manca la gamba, a chi la mano
Chi più non vede, chi è deforme in faccia
Chi è rimasto là sul campo insano.

Giustizia quel sangue verso te minaccia

Che cagione siei tu, spolparti a brano
Più non veder di te l’ombra di traccia.

 

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