Direttore dal 2019 al 2025, il professor Ambrosio racconta a Il Tirreno i suoi anni di mandato, dai giorni del lockdown alle più recenti  prospettive di sviluppo della Scuola Normale. L'articolo è stato pubblicato sul giornale di domenica 18 maggio 2025.
 

«Sei anni travolgenti ma la Normale ora è ripartita»

Il direttore uscente della Scuola, traccia il bilancio del suo mandato. «Il futuro è nel Santa Chiara, lì spazi per nuovi collegi e laboratori»

 

di Giuseppe Boi

«Sono stati anni travolgenti», un periodo «di grande impegno e crescita professionale», ma pur sempre «una parentesi». Luigi Ambrosio, Direttore uscente della Scuola Normale Superiore di Pisa, sintetizza così il suo mandato alla guida dell'Università di palazzo della Carovana. Insediatosi il 29 maggio del 2019, lascerà l'incarico ad Alessandro Schiesaro il prossimo 29 maggio: «Sei anni esatti, una frazione significativa della propria vita. E sono stati anni particolari segnati da un'accelerazione non apparente, ma reale degli eventi all'esterno e all'interno della Scuola: non solo sta cambiando il contesto internazionale, ma il piano normativo. In più, alla mia elezione, la Normale usciva da una grave crisi istituzionale».
Qual è stato il primo passo?
 «Ricostruire il rapporto tra le classi e la direzione, in particolare i presidi, che si era praticamente interrotto, anche se molto venne già fatto durante la direzione di Andrea Giardina, durante il periodo elettorale. Bisognava intervenire sulla trama interna della Scuola, c'era anche preoccupazione sul bilancio che poi, per fortuna, è stata superata. Abbiamo anche riallacciato i rapporti con le rappresentanze sindacali per riprendere la concertazione interna tra tutte le componenti della comunità della scuola. Il secondo è stato ricostruire i rapporti con la città e con l'Università di Pisa. Andai subito a incontrare il sindaco Conti con il quale, ci tengo a dirlo, il rapporto è stato sempre ottimo. Così come c'è stato un ottimo rapporto con i rettori dell'Università di Pisa, prima Mancarella, ora Zucchi».
II tutto nel pieno della pandemia.
 «Sì, pochi mesi dopo il mio insediamento è arrivato il Covid. Ricordo le riunioni con Sabina Nuti della Sant'Anna. C'era preoccupazione anche perché era una scelta in contrasto con la natura stessa delle nostre istituzioni che sono tenute a ospitare gli allievi. Quindi le telefonate con il ministro e quel messaggio che dovetti mandare agli studenti perché ormai era quasi certo che sarebbe partito il lockdown di lì a pochi giorni: "andate via"».
Cosa fecero?
 «La maggior parte tornò a casa ma una trentina-con ragioni anche legittime - decise di restare e fu un'impresa anche garantirgli un pasto in una città completamente bloccata Una situazione al limite ma, nonostante questo, nel giro di pochi giorni ripartì anche l'attività didattica, allargata anche alle scuole superiori con corsi online visti da più di 100mila studenti».
E le altre attività?
 «La ricerca, nonostante tutto, è andata avanti. Alcuni colleghi, durante il "confino", hanno persino aumentato la produttività, anche se hanno subito un rallentamento le discipline sperimentali, che richiedono interazioni dirette e attività di laboratorio».
Che eredità ha lasciato tutto questo?
 «Questi anni sono stati paradossali: sono arrivati tanti soldi, ma sono state tante anche le spese. Molti finanziamenti sono stati ottenuti grazie alla capacità delle Scuole superiori a ordinamento speciale di fare rete e presentarsi insieme al ministero. C'è stata la fase "esplosiva" del Pnrr, ma ora non è realistico pensare a significativi incrementi di budget. Dobbiamo quindi entrare in una fase di ottimizzazione delle risorse, ma partiamo da un punto di forza».
Quale?
 «I fondi arrivati, va sottolineato, non sono stati impiegati per aumentare la spesa corrente: abbiamo aumentato ma non in maniera significativa l'organico e investito nelle ristrutturazioni dei collegi e in nuovi laboratori. Abbiamo acquisito altri nuovi spazi per circa 3.000 metri quadri di cui circa 700 a Firenze, a Palazzo Vegni, per la Classe di scienze politico-sociali. In città sono poi in corso i lavori di ristrutturazione del collegio Carducci e del Fermi. Naturalmente gli effetti di queste scelte non sono immediati: la nemesi di ogni direttore è di non vedere completate tutte le opere che ha avviato e i loro effetti».
Ad esempio?
«Con questi investimenti, se consentiti dal budget, ritengo che la Normale possa aumentare gli allievi. Come awenuto alla Sant'Anna, a "causa" del Pnrr che ha concesso molti finanziamenti per la ricerca, in questi anni il numero degli allievi del dottorato ha superato in maniera significativa il numero degli allievi del corso ordinario. Al momento sono 440, gli ordinari 301. Rispetto alla potenza di fuoco della Scuola, vale a dire i professori di cui disponiamo e la didattica di alto livello che erogano, la componente allievi può crescere».
Come conciliarlo con l'overtourism a Pisa?
 
«Per superare la competizione tra studenti, ricercatori e turisti abbiamo manifestato interesse per il progetto del nuovo Santa Chiara. Al momento non è una prospettiva certa, ci sono tante variabili che sfuggono completamente al controllo della Scuola, ma è una prospettiva che potrebbe portare come minimo a un nuovo collegio».
E i docenti?
 «In questi anni abbiamo assunto molti ricercatori, anche "pisani di ritorno" in passato allievi della Scuola. E molti, grazie alla qualità del nostro processo di reclutamento, hanno portato progetti importanti alla Normale. Abbiamo fatto poi recruiting a livello internazionale, anche in relazione al genere: ad esempio la professoressa Barbara Elisabeth Borg dall'Inghilterra, e Corinne Bonnet, attuale preside della Classe di Lettere, dalla Francia. In precedenza abbiamo reclutato Fosca Giannotti, la prima docente di informatica della Scuola. In passato abbiamo avuto allievi bravissimi in questa disciplina, come ad esempio Roberto Di Cosmo, fondatore del progetto Software Heritage in Francia, ma non avevamo dei docenti di riferimento interni. E questo, nell'era dell'Intelligenza artificiale (Ai, ndr), è un valore aggiunto».
Quanto è presente I'AI nella Scuola?
«Praticamente tutte le aree di ricerca della Scuola sono già state influenzate dall'intelligenza artificiale. Dall'aspetto più banale che è il reperimento delle fonti — prima si usava Google, ma ormai in ambito scientifico si interroga l'intelligenza artificiale perché offre risposte strutturate strabilianti — alla scrittura di codici informatici».
L'AI sta cambiando anche gli studenti?
«Partendo dal fatto che qui abbiamo un osservatorio privilegiato di studenti, quello che sperimento è che, per questi ragazzi già molto dotati, I'AI amplifica le potenzialità. Quando facciamo gli esami non assistiamo a un calo della performance. Anzi, con questi strumenti guadagnano qualcosa che la mia generazione non ha avuto: la rapidità di accesso alle informazioni. Più volte mi è capitato di consigliare loro la lettura di un articolo scientifico e loro, dieci secondi dopo, me lo visualizzano sullo smartphone. Gli sviluppi saranno positivi a patto che si abbia la capacità critica di filtrare questa enorme mole di informazioni, libri e articoli a cui si può accedere. Noi abbiamo il compito di educare gli allievi all'uso di uno strumento che eleva il loro livello, spostando le loro capacità e anche il livello della didattica un gradino più in su».
Quale consiglio dà a un ragazzo che sta cominciando ora il suo percorso universitario?
 «Di appassionarsi a una materia. Gli studenti di oggi hanno tanti strumenti in più rispetto a quelli che abbiamo avuto noi, ma bisogna partire dalla passione per una determinata disciplina e coltivarla al meglio. L'interdisciplinarità è un valore aggiunto, che alla Scuola coltiviamo, ma serve una prima fase di formazione solida in una determinata disciplina per poter poi spaziare in altri campi, contaminare e contaminarsi in altri settori di studio e ricerca».
Dal 29 maggio cosa farà?
 
«Tornerò a tempo pieno all'insegnamento. In questi anni non ho alleviato i carichi didattici, ma ho dovuto ridurre ricerca, viaggi all'estero e partecipazione a conferenze. La direzione è stata un'esperienza di crescita in tanti campi, ma la mia passione è quella di tornare a fare il ricercatore. Questi sei anni sono stati una parentesi, ora si riparte». 

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