In occasione della giornata mondiale della proprietà intellettuale, la Prorettrice al trasferimento tecnologico, Chiara Cappelli, e il responsabile Area ricerca e innovazione, Pasqualantonio Pingue, spiegano le iniziative e i servizi messi in campo dalla Scuola Normale in un settore di ricerca in crescita negli ultimi anni.

di Alla Kudryashova e Andrea Pantani

Oggi 26 aprile si celebra la Giornata mondiale della proprietà intellettuale, dedicata all’innovazione tecnologica e ai diritti di proprietà intellettuale che la supportano. La Scuola Normale da qualche tempo ha deciso di presidiare in maniera più sistematica l’ambito del trasferimento tecnologico, ovvero di rendere accessibile a una gamma estesa di utenti - in primo luogo le aziende – l’insieme delle conoscenze scientifiche e tecnologie sviluppate al proprio interno. Per esempio un recente webinar sugli incentivi all’innovazione, organizzato in collaborazione con il Centro di Competenza ARTES4.0 e con il supporto degli esperti di Deloitte, ha riscosso un notevole successo.

Su questi temi proponiamo una intervista alla prof.ssa Chiara Cappelli, prorettrice al trasferimento tecnologico, e al dott. Pasqualantonio Pingue, responsabile Area ricerca e innovazione della Scuola Normale Superiore.
 

Il fatto che una Scuola universitaria come la Normale, i cui ambiti di ricerca riguardano le scienze di base e le discipline umanistiche, investa nel trasferimento tecnologico non è di immediata evidenza. A che cosa è dovuta questa attenzione, comunque più percepibile rispetto al passato?

C.C.
Ci siamo avvicinati in maniera naturale ad eventi e iniziative di incontro tra università e aziende: è stato un modo per presentare le nostre linee di ricerca più facilmente riconducibili al mondo delle imprese. Alcuni settori disciplinari della Scuola Normale come la fisica, innanzitutto, oppure la chimica e la biologia, nel corso degli anni hanno stabilito contatti ravvicinati con le tecnologie più avanzate come metodo di indagine scientifica: pensiamo alla fisica della materia e alle nanotecnologie, o alla chimica computazionale. È sempre più frequente, quindi, che affrontando determinati argomenti di ricerca ci si imbatta in scoperte che prevedono tecnologia innovativa, spendibile sul mercato o utilizzabile da altre istituzioni di ricerca. Inoltre abbiamo percepito
che le aziende hanno ancora difficoltà a capire se e come possano fruire di agevolazioni, soprattutto per quanto riguarda le attività di Ricerca e Sviluppo, e di formazione. Nel caso dell’evento citato, ci siamo concentrati sul Nuovo Piano Nazionale Transizione 4.0, promosso dal Ministero dello Sviluppo economico, incoraggiando le aziende ad investire in questi ambiti e incentivando, indirettamente, l’avvio di progetti che prevedano collaborazioni con la Scuola.

 

Esiste una difficoltà delle aziende nel rapportarsi con il mondo dell’università, in particolare con la Normale?

C.C.
Restare competitivi nel ventunesimo secolo vuol dire non solo rispondere ai bisogni del mercato ma anticiparli, proporre soluzioni in tempi rapidi, talvolta molto rapidi.

Se nell’ambito life science è usuale che trascorrano  5-10 anni per sviluppare un nuovo prodotto (partendo per esempio da una molecola per arrivare ad un farmaco), in altri casi, quali servizi, alimentare o ICT, è cruciale uscire sul mercato in tempi più rapidi. Ma le aziende spesso faticano a interloquire con l’Accademia, ha rigidità interne, burocrazia, tempi tecnici tipici del settore pubblico e molto, anzi troppo, spesso non compatibili con le esigenze di una realtà che opera sul mercato. Molti players industriali, che se lo possono permettere, si avvalgono di competenze sviluppate internamente, presso i propri centri di ricerca e sviluppo; altri, e questo lo vediamo soprattutto negli ultimi anni, sono pronti a innovare INSIEME alle università.
Proprio da qualche anno vediamo spuntare, presso le università pubbliche, laboratori congiunti che lavorano con aziende su un tema specifico, previa stipula di un accordo di collaborazione. Quindi le difficoltà ci sono e sono innegabili, ma ci sono anche molti esempi di collaborazione proficua sia per il pubblico che per il privato.

 

Gli ambiti di ricerca della Scuola combaciano con le eccellenze sviluppate dalle PMI del territorio toscano e con specializzazioni su cui la Regione punta attraverso i suoi programmi di finanziamento o con attività di formazione? 

P.P.
L’orizzonte di ricerca su cui ci muoviamo non è strettamente legato al contesto produttivo e istituzionale toscano, tuttavia è inevitabile che vi siano delle aderenze. Per esempio presso il Laboratorio NEST, National Enterprise for nanoScience and nanoTechnology, sono in corso progetti di ricerca ben avviati in settori produttivi quali quello conciario e del marmo legati alla zona del cuoio e a Carrara o per esempio alla filiera della carta nella lucchesia. Alcuni di questi progetti sono stati avviati grazie ai programmi regionali volti a incentivare tecnologie innovative in questi settori, alcuni grazie a investimenti diretti di imprese del territorio. Può capitare che finanziamenti europei siano stati ottenuti anche grazie ad eccellenze toscane, penso per esempio al progetto Captur3D che prevede una innovativa tecnica di studio del granulo di insulina ed è legato al gruppo di Endocrinologia e Metabolismo dei Trapianti d’Organo e Cellulari dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. Sempre al NEST la SNS offre servizi alle imprese sui temi pervasivi delle nanotecnologie quali analisi, misure, fabbricazione e crescita di nano-materiali, consulenza tecnologica, formazione specialistica, attraverso contratti di ricerca,  il tutto anche grazie al finanziamento della Regione Toscana di un Centro regionale sulle nanotecnologie (www.ccnest.it).

Altri laboratori, ad esempio quello di Biologia (Bio@SNS), lavorano con le imprese sui temi delle neuroscienze e della biologia molecolare, e la Scuola ha inoltre accreditato tre sue spin-off che collaborano in maniera indipendente anche con altre imprese del territorio.  Insomma il rapporto con il territorio toscano è ben consolidato e i benefici sono reciproci.

C.C.
Sono anche in corso convenzioni per incentivare percorsi di crescita, come quella recente con l’Unione Industriale Pisana. L’obiettivo anche qui è farci conoscere dalle imprese del territorio e allo stesso tempo far conoscere alla Scuola le aziende toscane, perché possano nascere collaborazioni virtuose.
 

Tornando al tema della Giornata della proprietà intellettuale, perché le aziende devono occuparsi dei diritti della proprietà intellettuale?

C.C.
In Italia, la maggioranza delle aziende sono PMI, ed è risaputo che molte facciano fatica, dal punto di vista economico e di competenze, a gestire i propri beni immateriali (brevetti, know-how, segreto commerciale), come invece accade nel caso di aziende di grandi dimensioni. Tuttavia, le aziende che vogliono sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi, in collaborazione con l’università, inevitabilmente si imbattono nella questione di come gestire la proprietà intellettuale. E la giornata di oggi ci ricorda che ci sono degli organismi internazionali e nazionali che aiutano in questo, attraverso un sistema di agevolazioni e percorsi di formazione.
 

Invece alla Scuola, chi si occupa della proprietà intellettuale? Qual è l’importanza del Trasferimento tecnologico nell’assetto generale dell’amministrazione?

P.P.
Alla scuola da qualche anno è attivo il Servizio Ricerca e Trasferimento Tecnologico (SRT) che opera su due fronti: da un lato offre un supporto ai gruppi di ricerca o ai singoli ricercatori per l’accesso a progetti, finanziamenti e premi legati all’innovazione, dall’altro alla tutela de
i diritti della proprietà intellettuale e alla loro valorizzazione.  Negli ultimi anni proponiamo servizi a supporto dell’avvio di spin-off e start up nell’ambito della imprenditorialità accademica. Inoltre alle aziende che si rivolgono a SRT offriamo servizi di supporto alla trattativa per contratti di opzione o licenza, qualora esse avessero intenzione di sfruttare commercialmente i risultati di ricerca della Scuola.

Dall’altro lato, partecipiamo anche al dibattito culturale e politico sui temi della innovazione. Siamo collegati a vari network che mettono in relazione il sistema universitario e le imprese, ad esempio, Netval, Network per la Valorizzazione della ricerca Universitaria. Con altri partner istituzionali (le altre Scuole di eccellenza nazionali) da anni abbiamo costituito un ufficio congiunto per il trasferimento tecnologico, JoTTOPartecipiamo ed organizziamo eventi quali convegni, seminari, workshops per sensibilizzare diversi stakeholders verso i temi della proprietà intellettuale, imprenditorialità accademica, trasferimento tecnologico.

C.C.
L’obiettivo di queste operazioni, penso soprattutto alle molte vetrine in cui le imprese e l’università si incontrano, ed a cui partecipiamo, è anche far conoscere la migliore risorsa della Scuola: i nostri allievi. La loro preparazione, la capacità critica che li contraddistingue, sono il miglior prodotto realizzato qui dentro. Non è raro trovare normalisti occupare posizioni di rilievo presso istituzione bancarie, società di consulenza, aziende. Questo aspetto non è affatto scontato all’esterno.

 

Quali sono gli spin-off attivati finora?

C.C.
Quello del supporto all’avvio di spin-off è un recentissimo sviluppo della nostra Scuola. Abbiamo visto nascere Inta Systems, che produce laboratori-on-chip brevettati per il trattamento e analisi di fluidi in sistemi microfluidici, con applicazioni nel settore biomedicale, sicurezza, industria 4.0 e food-analysis, nata da ricerche in sinergia con il CNR presso il Laboratorio NEST; Vis srl, che crea prodotti multimediali per centri di ricerca, istituti museali ed imprese, ed è focalizzata soprattutto sulla fisica e la cosmologia, ed è frutto di una lunga esperienza di outreach promossa dalla Scuola; DREAMSlab SrL, che opera nel campo delle tecnologie di realtà virtuale, con applicazioni web e app multidispositivo, spin-off nata dalle competenze sviluppate nel Laboratorio Smart. Sono tutte e tre esperienze che testimoniano dal un lato un maggiore interesse dei nostri ricercatori verso questo tipo di percorsi, dall’altro una migliorata capacità organizzativa della Scuola nel supportare queste iniziative.


Ci sono settori disciplinari in cui si prevedono ulteriori step nel processo di crescita del Trasferimento Tecnologico alla Scuola?

CC.
In generale credo che tutte le aree fortemente interdisciplinari e in cui si sviluppano sinergie, possano dar luogo a questo tipo di competenze. Il nostro compito comunque resta quello non tanto di pensare a una offerta formativa orientata sempre più al trasferimento tecnologico, quanto quello di incentivare tutte le opportunità affinché un numero crescente di interlocutori possa trovare spazi di dialogo con il personale di ricerca della Scuola, compresi i nostri allievi.

 

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