Il Nobel per la Chimica 2018 è stato assegnato a Frances H. Arnold (California Institute of Technology), George P. Smith (University of Missouri) e Gregory P. Winter (University of Cambrige). La motivazione, nitida ed essenziale come le linee di Niklas Elmehed che ritraggono i premiati su nobelprize.org, recita: “per l’evoluzione guidata degli enzimi” (metà premio spettante alla Arnold) e “per il phage display [esposizione via fago] di peptidi e anticorpi” (restante metà, a Smith e Winter in parti uguali).
Prima di illustrare con qualche dettaglio i principi dell’evoluzione guidata (meglio che “diretta” – come hanno reso alcuni media italiani dall’inglese directed evolution, esponendo però la traduzione a un rischio maggiore di ambiguità) e della tecnica dell’esposizione via fago, sarà utile ricordare che i peptidi sono una classe di composti chimici costituiti da una catena estremamente variabile di amminoacidi (i “mattoni” chimici della vita). Le proteine, tra cui enzimi ed anticorpi, sono peptidi che differiscono l’uno dall’altro proprio per via della sequenza amminoacidica e che risultano estremamente versatili in relazione a specifiche funzioni vitali. La sequenza di una determinata proteina, codificata nel rispettivo gene e dunque nel DNA, si traduce in un particolare ripiegamento della catena che conferisce alla proteina una determinata struttura tridimensionale (sulla spinta di interazioni tra porzioni della catena che possono essere anche molto distanti tra loro in termini di sequenza). Ora, è proprio questa conformazione spaziale (e in ultima analisi la sequenza amminoacidica che la determina) che conferisce alle proteine un elevato grado di adeguatezza rispetto alla funzione che devono assolvere. Infatti, tramite un meccanismo di “incastro ottimale” tra una regione specifica della proteina e una molecola bersaglio (immaginate una coppia chiave-serratura) e un susseguente adattamento reciproco delle due parti (il cosiddetto modello dell’adattamento indotto), un enzima è in grado di accelerare la conversione di un composto chimico legandolo in maniera selettiva o un anticorpo è in grado di avviare la risposta immunitaria incastrando lo specifico antigene da neutralizzare.
Gli enzimi sono dunque dispositivi molecolari in grado di assolvere a un determinato compito in modo estremamente efficiente. Questa efficienza è il frutto di un lunghissimo processo evolutivo di adattamento della vita a condizioni di volta in volta diverse, alla base del quale opera un doppio meccanismo di mutazione genetica (di generazione in generazione, si introducono mutazioni nelle sequenze genetiche) e di selezione naturale (che garantisce la sopravvivenza e l’ulteriore evoluzione dei geni che esprimono gli enzimi più efficaci).Il processo evolutivo di un enzima può dunque essere visto come l’esplorazione di una cosiddetta superficie di ottimalità o adeguatezza (fitness landscape) nello “spazio delle sequenze” che lo esprimono (cfr. figura). Un punto nello spazio delle sequenze identifica una certa sequenza, mentre la sua altitudine rappresenta il grado di adeguatezza dell’enzima associato con riferimento a un determinato scopo. Punti vicini nello spazio delle sequenze identificano sequenze simili (ottenibili l’una dall’altra attraverso un numero esiguo di mutazioni), punti distanti identificano sequenze dissimili. Evolvere verso il grado ottimale o di maggiore adeguatezza significa percorrere il cammino, in salita, per la vetta più alta.
Phage display di peptidi e anticorpi
Come già detto, la seconda metà del Nobel premia lo sviluppo e l’ampliamento della tecnica dell’esposizione via fago che, combinata con i principi dell’evoluzione guidata, ha contribuito alla sintesi di nuovi farmaci per il trattamento di diverse malattie tra cui sclerosi multipla e cancro.
Per chi volesse saperne di più, si segnalano i seguenti lavori (tre review e una lettera alla rivista Nature) a firma di Nobel:Frances H. Arnold, “Design by Directed Evolution“, Accounts of Chemical Research 31, 125-131 (1998), doi.org/10.1021/