In che modo è possibile scaricare materiale dalla rete senza incappare nella mannaia della violazione delle leggi sul diritto d’autore, tutelando nello stesso tempo la paternità delle opere? Per dare una risposta concreta a questa domanda sono arrivate anche in Italia, ormai da cinque anni, le Creative Commons, licenze che permettono di facilitare la diffusione delle opere d’ingegno in un’epoca, come la nostra, caratterizzata dalla fluidità di circolazione di materiale intellettuale. E da qualche settimana è disponibile una versione aggiornata delle Creative commons, la 3.0.

“Tra il 40 e il 60% dei cittadini della rete (ormai oltre un miliardo) crea contenuti e li pubblica online – spiega Juan Carlos De Martin, del Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, dal gennaio 2005 referente per Creative Commons Italia. -. Creative Commons mette a disposizione sei licenze di diritto d’autore che consentono, a chi lo desidera, di rilasciare le proprie opere secondo il principio ‘alcuni diritti riservati’. L’obiettivo è quello di creare un vasto patrimonio di opere, in formato digitale e non, che possano essere liberamente fruite e, nel caso la licenza lo permetta, liberamente riusate ed adattate”.

Per “marcare”, come si dice in gergo, pagine web, pdf, mp3 e altri materiali con licenze Creative Commons (le 6 licenze corrispondono al tipo di disponibilità che ciascuno autore vuol dare della propria opera), basta seguire le procedure che si trovano su www.creativecommons.it . Il progetto fornisce diverse licenze libere che i detentori dei diritti di copyright possono utilizzare quando rilasciano le proprie opere sulla Rete.

Qualche settimana fa è stata annunciata la disponibilità della terza versione, la 3.0, delle licenze CC. “Con le 3.0 è stata operata una suddivisione delle licenze generiche di base: da un lato quelle americane, già operative, dall’altro le unported, in quanto non ancora “localizzate” sulla base degli ordinamenti dei diversi paesi. Gruppi di persone come giuristi, esperti di media, informatici hanno lavorato alla elaborazione delle nuove licenze che si propongono come uno strumento se possibile ancora più internazionale. Il nuovo set di licenze si basa sui principi della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, sulla Convenzione di Roma del 1961, sul trattato sul copyright dell’Organizzazione mondiale del commercio del 1996, sul trattato sulle Rappresentazioni e i Fonogrammi dell’Organizzazione sempre del 1996 e sulla Convenzione universale sul Copyright”.

Nate negli USA, le CC fino ad oggi sono state implementate in diversi paesi, tra cui l’Italia, con un complicato procedimento di ricezione nei singoli ordinamenti che ora si ripeterà ma che dovrebbe risultare meno ostico alle comunità CC locali.

Nella nuova stesura le licenze prestano maggiore attenzione alle questioni legate ai diritti morali e alle società di raccolta dei diritti (in Italia la SIAE). Un aspetto definito, appunto, “moral rights harmonization”.C’è poi maggiore chiarezza sul rapporto tra autore e utilizzatore dell’opera.

“Abbiamo fatto in modo di impedire che vi possa essere un’errata attribuzione o una implicita relazione o associazione tra chi realizza l’opera e chi decide di farne uso. Il rapporto è stato reso esplicito sia nel Legal Code che nel Commons Deed, per garantire che, mano a mano che le licenze continuano a crescere e ad attrarre un gran numero di autori e aziende, non ci sia confusione sulla materia”.