Gao Xingjian, lo scrittore cinese premio Nobel per la Letteratura nel 2000,è stato ospite dei Venerdì del Direttore della Scuola Normale Superiore lo scorso 22 dicembre. Nel colloquio con Renata Pisu ha parlato della necessità per l’Occidente di abbandonare schemi e strumenti ormai abusati per ripartire affrontando il ventunesimo secolo con un nuovo modo di pensare e fare arte.


Il video streaming della conferenza


Servizio su RAI news 24 (WMV)

Di Serena Wiedenstritt

Parole forti, un invito chiaro a creare un nuovo modo di pensare, agire e fare arte per il secolo appena iniziato «perché gli strumenti studiati ed utilizzati fino al ventesimo secolo non sono sufficienti per affrontare il ventunesimo». La figura esile di Gao Xingjian, Nobel per la Letteratura nel 2000, rivela a colloquio con la giornalista di Repubblica, Renata Pisu, tutta la sua grandezza e la sua forza quando chiama l’Occidente a superare la crisi del pensiero che ha chiuso lo scorso secolo per lanciarsi alla ricerca del nuovo, «della creazione, che non è ripetizione». Non si può parlare di una sensibilità orientale che condanna la pensée unique occidentale: torna, nelle parole di Gao, nelle interviste che rilascia ai giornalisti e anche nel suo comportarsi, muoversi e vestirsi il rifiuto del mercato, dell’obbligo di piacere al pubblico, della globalizzazione commerciale e del denaro come misura di tutte le cose. Ma la sua è una critica da dentro il sistema: parla lo stesso Gao che vive a Parigi e ama la città cosmopolita, il Nobel che non si riconosce in nessuna cittadinanza, ma che ha trovato nella capitale francese la sua dimensione. Per questo Gao crede in un rinnovamento capace di rilanciare ruolo e spiritualità dell’artista, di ricreare l’Occidente, la cultura, l’arte e il pensiero stesso.

La prima curiosità, come d’obbligo, riguarda il suo essere artista a tutto tondo, pittore, romanziere, saggista, drammaturgo, regista e cineasta. Gao ama ironizzare sulla molteplici possibilità di raccogliere il favore del pubblico praticando più arti, poi si fa serio, perché «l’artista completo è come l’artista di una volta, che non ha un mestiere, ma una cultura e una qualità umana da esprimere». Poi il discorso si sposta sull’asse etica-estetica, valori che nel pensiero cinese si trovano indissolubilmente legati, ma attenzione, puntualizza Gao, non stiamo parlando di etica come morale, come criterio di condotta uguale per tutti i cittadini. L’etica a cui fa riferimento il Nobel cinese è piuttosto una forma di sincerità rispetto al reale, che per questo si fonde facilmente con l’estetica, intesa come espressività indipendente dal mercato o dal gusto, che deriva dal singolo individuo, ma in fondo «accomuna gli uomini, che hanno tutti una simile sensibilità». La sincerità a cui si riferisce Gao è quella che ogni scrittore dovrebbe riconoscere come base della sua opera: per il Nobel cinese non c’è scrittura che non sia riportata al reale. Lo scrittore, secondo Gao, è soprattutto un testimone, portatore di una chiara responsabilità nei confronti della realtà e del lettore e che deve rendere conto di quello che vede, analizzarlo, studiarlo da vicino prima di metterlo sulla pagina bianca.

Sulla sua esperienza personale, sulla sua crescita come artista a tutto tondo e sulle vicende che hanno segnato la sua «prima vita» in Cina, Gao racconta dei tempi delle letture appassionate -fino a 52 testi per settimana fra letteratura cinese, straniera e opere filosofiche – edi quelli tristi della rivoluzione cultuale imposta dal regime comunista. A questo proposito Gao parla piuttosto di «una rivoluzione anticulturale, basata sul terrore» che lo mandò per cinque anni in un campo di rieducazione, dove fu costretto a lavorare la terra e a bruciare foglio dopo foglio -di sera e uno alla volta per non farsi scoprire -i suoi primi manoscritti. Sul futuro, una volta ribadito che il passato è una pagina voltata, un capitolo chiuso, il Nobel conclude auspicando «la nascita di una letteratura allo stesso tempo cinese e internazionale, fatta da autori di cultura cinese, ma di stampo universale, slegata dal paese Cina e in comunicazione con le altre culture, che resti viva e si diffonda nelle diverse parti del mondo».